Cap 14

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-La tua tasca si illumina- dice Francesca indicandomi i pantaloni. Mi tasto velocemente le tasche perché non ricordo dove sia il telefono.
Leggo il numero. Non compare nessun nome. Sembra proprio.... Mi passo una mano sui capelli e alzo il telefono davanti a me. È veramente lei?
-Cosa succede?- chiede Francesca. Il suo tono angosciato riecheggia sulle pareti spoglie della fabbrica che stiamo visitando. Stavo giusto pensando che entrare in questo posto sembrava proprio come visitare una zona colpita da qualche evento apocalittico e ora vedo sullo schermo del telefono il suo numero.
-È lei.- riesco a dire. Francesca corre accanto a me e legge il numero. Forse pensava di trovare la scritta "amore mio" o "Stronza" o "Emma". Invece mi sono limitato a cancellare le informazioni di contatto ben consapevole che comunque non mi sarei mai dimenticato il numero. Fisso lo sguardo su Francesca che sbigottita comprende che sono pietrificato. Osservo, in piena fase extracorporea, lei che allunga la mano verso il touch del mio telefono e fa scorrere il dito verso sinistra come lo schermo indica di fare per rispondere. Dentro di me mi sto dando dello stupido: sono qui per riprendermela e ora non le rispondo al telefono? Ma siamo seri?
Il timer indica che sono passati 6 secondi dall'inizio della chiamata. Francesca mi da una pacca sulla spalla e leggendole il labiale capisco che mi sta dicendo di "tirare fuori le palle".
-Emma?- chiedo timidamente.
-Ehi eri tu quindi, sei tornato.- la sua voce. Cazzo se mi è mancata la sua voce. Sembra il tono tranquillo di sempre ma entrambi sappiamo che poco fa è letteralmente scappata da me.
-Una visita..- il mio tono è vago ma sto camminando avanti e indietro così velocemente che fra un po' avrò il fiatone.
-...di lavoro. Jack mi ha detto.- conclude la frase lei per me. Il solo risentire nominare quel tipo mi fa incazzare di nuovo.
-Credo che dobbiamo parlare.- Dice lei troncando sul nascere la mia replica. Rimango spiazzato per qualche secondo dalla richiesta inaspettata.
-Se vuoi chiaramente...- aggiunge interpretando male il mio silenzio.
-Si, assolutamente. Dimmi tu quando vuoi e ti passo a prendere.- forse ho messo troppa enfasi nella risposta perché la sento fare un lungo sospiro, che sia anche lei ansiosa?
-Ok. Per me va bene anche subito ma devi venire qui tu, non vengo via con te.-
Guardo Francesca cercando di capire come fare e lei che sta ascoltando tutto minimizza scuotendo la mano invitandomi ad accettare.
-Facciamo tra un'ora?- chiedo.
-Ok a dopo.-
Chiudo la telefonata. Non sono ancora perfettamente padrone della situazione.
-Vuole parlare?- chiede Francesca.
-A quanto pare...-
-Non sei contento?- sorride. Fisso la sua espressione incoraggiante e intanto sento crescere l'ansia.
-Mi pareva di aver capito che vuoi riprenderti questa donna. Ho capito male?- chiede con tono serio.
-Certo. È l'unica cosa a cui ho pensato negli ultimi mesi- annuisco.
-Ma...?- chiede Francesca.
-Ma se non mi vuole sono fottuto.-
***
Faccio un respiro profondo, svolto a destra allo stop e mi ritrovo davanti al bar di questa mattina. L'orologio che Emma mi ha regalato per il nostro quinto anniversario mi dice che sono in anticipo di venti minuti. Forse dovrei fare un altro giro del lungo lago? Non finisco di elaborare il pensiero che la vedo attraverso la vetrata. Abbraccia Ardit e si dirige verso l'uscita. Verso di me. Lui la segue e quando lei esce si sporge e mi saluta con la mano. Ricambio il gesto stupito. E poi lei è lì, davanti al lato passeggero della Giulia, con una mano si stringe nella felpa con l'interno in lana taglia XXL che le ho regalato lo scorso Natale, con l'altra apre lo sportello. O meglio, ci prova, perché io, come un coglione, non ho sbloccato le chiusure centralizzate. Mi affretto a schiacciare il tasto. Emma entra in fretta e furia e, dopo aver chiuso, si stringe le braccia addosso infreddolita. Alzo il riscaldamento della macchina ancor prima di dirle ciao e tengo a freno l'impulso di abbracciarla.
-Ciao.- la sua voce dal vivo è di certo molto meglio.
-Ciao- rispondo meccanicamente. So che la sto fissando ma non riesco ad evitarlo. Indossa un paio di leggins neri, Adidas grigie e la felpa rossa è sormontata da una sciarpa enorme verde e viola. Il suo modo di abbinare i colori mi ha sempre dato i brividi ma evito di commentare. Il cambiamento più grande sono i capelli corti. Le stanno bene: mettono in risalto i suoi occhi.
-Che c'è? Ho qualcosa che non va?- chiede passandosi una mano sulle labbra. Si, stavo fissando quelle ora. Mi schiarisco la voce e mi impongo di tornare normale.
-No, niente.- sorrido. Sorrido perché lei è finalmente lì dove dovrebbe essere: accanto a me. Una parte del mio cervello sa che a breve questa magica bolla esploderà perché "dobbiamo parlare" ma adesso la sensazione è quella di qualcosa rimesso al suo posto, aggiustato.
-Oh smettila. Ti conosco!- borbotta facendomi ridere ancora di più - Devi dirmi qualcosa sul mio abbigliamento vero?- dice guardandosi. E lo sguardo che fa mi fa capire che si è vestita senza rendersi conto di cosa si stava mettendo addosso. Come sempre.
- No, i tuoi capelli Emma.- dico con un groppo in gola. Aprirsi con chi mi ha ferito così tanto è dura. - Ti stanno bene, mettono in risalto i tuoi occhi.-
La osservo toccarsi i capelli in imbarazzo. Come sempre i complimenti la mettono a disagio e si volta per un attimo verso il finestrino. Seguo il suo sguardo e vedo Jack e Ardit che ci osservano dal bar.
-Abbiamo un pubblico- sottolinea l'ovvio con una smorfia. A quanto pare è felice quanto me di avere quei due a guardarci.
-Vuoi che andiamo da qualche parte?- chiedo.
-No. Non credo sia il caso.- risponde con un tono che non riesco a decifrare - in verità vorrei andare a parlare dentro.- Borbotta senza guardarmi in faccia. Probabilmente pensa che mi metta a disagio entrare nell'appartamento in cui convive con quel ragazzino. Ovviamente una parte di me preferirebbe bere il detersivo dei piatti piuttosto che farmi sbattere in faccia la sua nuova vita di coppia, tuttavia con Francesca abbiamo studiato una strategia. Devo dimostrarle che sono determinato a riconquistarla e che non temo quel pagliaccio, ad ogni costo. Quindi, ingoio il disgusto, tiro fuori le palle e accetto. E addirittura col sorriso sulle labbra!
-Per me va bene.- dico sicuro. Sicurissimo come no. Ti prego dimmi che non vuoi veramente che io entri.
-Davvero?- chiede stupita. Ok, Francesca e la sua teoria "devi dimostrarle che sei disposto a tutto" avevano ragione, si vede da quello strano sguardo. Come se non mi credesse capace di fare cose simili. Eppure in passato sono stato uno da grandi gesti. Ok non nell'ultimo periodo devo ammetterlo, ma mi è sempre piaciuto lasciarla a bocca aperta. Adesso che ci penso ha lo stesso sguardo del giorno che le ho lasciato guidare per la prima volta la mia macchina.
Non c'è bisogno che vi rispieghi quanto io tanga alle mie auto vero? Ecco immaginate un venticinquenne leggermente esaltato con una Fiat Punto GT elaborata, blu elettrica, cerchi maggiorati, carrozzeria modificata e sedili sportivi. Nemmeno a mio padre ho mai permesso di toccarla. Eppure quella sera lo sguardo triste di Emma mi ha smosso qualcosa dentro e ho sentito il bisogno di fare qualcosa per farle tornare il sorriso. Così sorridendo le ho chiesto se voleva imparare a guidare.
-Chi sei tu? Cosa ne hai fatto di Leonardo?- aveva chiesto prendendomi in giro. Avevo insistito, mostrato sicurezza e convinzione e alla fine avevamo fatto cambio posto. Per un'ora intera sono stato col fiato sospeso e il sorriso sulle labbra. Ma devo ammettere che Emma è stata fin da quella prima volta molto portata per la guida. È l'unica a cui, ancora oggi, permetterei di guidare la mia Giulia e non solo per ottenere in cambio favori sessuali! Facemmo il giro del parcheggio forse una trentina di volte prima che decidesse di fermarsi. Era incredula e sorridente e mi ringraziò aprendosi con me e raccontandomi i suoi sogni di diciassettenne. Emma è sempre riuscita a farmi sentire un uomo speciale, un eroe. Poi un giorno questo legame speciale che ci teneva uniti è stato surclassato da qualcosa, forse dalla routine della vita forse dell'incertezza del futuro. Fatto sta che ad un certo punto della nostra storia ci siamo fermati. Sono finite le romanticherie, sono finite le serate speciali, le cene occhi negli occhi, i regali inaspettati, le nottate passate a parlare e ridere. Non so di chi sia la colpa, forse di entrambi, forse di nessuno. In questi mesi di solitudine forzata ho esaminato più e più volte le nostre fasi di coppia. Si, lo so che sembro gay, non sono i discorsi da uomo che ti aspetteresti da uno come me, ma un giorno, mentre passeggiavo per un vicolo del Ghetto Ebraico a Bologna ho buttato l'occhio sull'espositore di una libreria e ho letto un titolo "Se è finita non era il vero amore". Non so perché ma non sono riuscito a resistere e l'ho comprato. Ovviamente si è rivelato il classico manuale di stereotipi estremi: facile la vita se fosse tutta in bianco e nero come in questi manuali di autoaiuto. Il problema è che la vita è in scala di grigi e il giusto e sbagliato si mescolano e non è così agevole distinguere niente. Ma una frase presente nel libro mi ha colpito ed era il sottotitolo: se era vero amore allora non è finita. Ed è su questo che mi sono concentrato ma tutte le infiocchettature di contorno mi sono comunque rimaste impresse. Le fasi di coppia, a sentire lo psicologo Jed Diamond, sono cinque:
#1-Innamoramento, altrimenti detto farfalle nello stomaco, vedere il mondo tutto rosa, in cui si è certi che l'amore durerà per sempre e che l'altra persona abbia solo pregi e zero difetti. A farla da padrone nella nostra testa sono per lo più dopamina e ormoni.
Per me ed Emma questa fase è durata non qualche mese ma per almeno tre cazzutissimi anni e per quanto mi riguarda dal punto di vista ormonale forse non è mai passata.
I primi mesi con Emma sono stato capace di scrivere poesie, lettere, dedicarle canzoni d'amore, fare degli stupidissimi collage di nostre foto. Tutte cose che non avrei mai fatto se non fossi stato sotto l'effetto della dopamina da romanticismo. Ricordo benissimo quanto ero emozionato il giorno in cui le ho regalato un ciondolo a forma di infinito, il classico otto orizzontale avete presente? Una banale smanceria da adolescenti, ora lo riconosco. Era il regalo per il nostro sesto mesiversario e quando le ho consegnato la scatoletta sotto l'albero dove ci eravamo scambiati il primo bacio, tremavo. Tremavo come probabilmente avrei tremato quel maledetto giorno di sei mesi fa se mi avesse lasciato chiederle di sposarmi come si deve. E non crediate che Emma sia stata da meno eh! Non era uno di quei rapporti a senso unico, affatto! Per il nostro primo anniversario quella pazza scatenata ha scritto con una vernice indelebile bianca, probabilmente al piombo, "Ti Amo Leonardo Buti" sull'asfalto all'ingresso della fabbrica di mio zio. Per i sei anni successivi sono arrivato a lavoro col sorriso stampato in faccia. Leggere quella dedica la mattina mi ha sempre messo di buon umore. Poi un giorno il comune ha rifatto l'asfalto e la scritta è svanita. Stupidamente non l'ho considerato come un cattivo presagio, dopo un paio di giorni me ne ero dimenticato.
Non so quando questa fase sia finita di preciso, forse quando Emma ha iniziato l'università? Non saprei, ma di certo è finita.
#2- Diventare una coppia, ossia quando si acquisisce una certa routine, quando ci si abitua ad avere l'altro nella propria vita, a farci affidamento. In questa fase molte coppie sentono il bisogno di consolidare la propria unione, si sposano, vanno a convivere. Si considera questa erroneamente la fase dell'amore maturo, quella che si spera non finisca mai.
Nella nostra storia questa fase è stata borderline con la prima nel senso che non siamo andati a convivere ma di fatto abbiamo iniziato a vederci ogni giorno, a passare insieme ogni week end. Dopo la fase di amore "romantico e sdolcinato" abbiamo iniziato ad essere una coppia a tutti gli effetti entrando nelle rispettive famiglie. Condividendo matrimoni, comunioni, cresime e funerali, ma anche crisi familiari e problemi di salute. Sono stato in grado di assisterla quando si è operata al ginocchio e per me anche solo entrare in ospedale era, ed è ancora oggi, una vera tortura. Così come lei mi è stata accanto alla morte di un mio amico, affrontando il lutto con me e i sensi di colpa che si hanno sempre al sopravvivere ad un amico. Lì ho capito che potevo contare su di lei anche quando la vita non era tutte rose e fiori.
#3- Disillusione, ovvero il momento in cui la storia finisce o si rafforza. Iniziano a venire fuori i difetti che ci infastidiscono di più dell'altro e le insoddisfazioni si accumulano.
Ovviamente deve essere qui che ci siamo bloccati, a lei la infastidiva il mio modo di gestire i soldi, a me infastidiva il suo modo di volermi dire come gestire i miei soldi! Lei non approvava il modo in cui parlavo a mia madre, a me non andava giù come lei desse sempre ragione a suo padre. Deve essere più o meno a questo punto che abbiamo smesso di comunicare e siamo rimasti bloccati. Così quando è scoppiato il casino al lavoro anziché dirle come stavano le cose ho preferito illudermi che scioccarla con una proposta di matrimonio avrebbe potuto risolvere tutto.
#4-Creazione di un legame forte e duraturo, in questa fase si riscuotono i frutti della precedente, si accettano i difetti e ci si ama nonostante questi. Perché non c'è cosa più bella che dividere la vita con chi ci ama per quello che siamo davvero, lati negativi compresi.
Che è quello che vorrei accadesse con Emma, che riuscissimo insieme a superare le difficoltà e ad amarci di nuovo. Perché dentro di me, pur sapendo che qualcosa tra di noi ha smesso di funzionare, so anche che il sentimento che ci legava non era banale innamoramento e se le ho chiesto di sposarmi non era tanto per un capriccio ma perché la vedevo già da anni come la compagna della mia vita. Il matrimonio era un pretesto, è vero, ma non il volerla al mio fianco per sempre.
#5-Uso del potere di entrambi per cambiare il mondo, ...
Ecco questo mi sembrava così dannatamente stupido che mi sono rifiutato di leggerlo. Ma comunque il succo lo avete capito, no?
Devo riuscire a farle capire che nonostante il casino che abbiamo combinato sei mesi fa possiamo tornare insieme ed essere felici. Come ha detto Francesca, anche se ha usato quello squallido del suo amico come chiodo scaccia chiodo, non significa che non mi ama più ma, probabilmente, come a volte succede, le ragazze non sanno stare da sole e si rifugiano dal primo che offre loro la sicurezza di un abbraccio. Specie una come lei che sola non c'è mai stata.
Parole sue, non mie, ma me le ripeto come un mantra mentre parcheggio l'auto e cerco di convincermi che è una cosa su cui devo riuscire a passare sopra se la rivoglio con me.
Emma si è convinta che faccio sul serio e mi ha detto di parcheggiare sul retro del locale. Spengo l'auto e noto che sta furiosamente scrivendo messaggi a qualcuno. Probabilmente il Giacomino non è molto felice dell'idea di Emma....
Devo calmarmi o mi lascerò sfuggire un commento acido.
-Andiamo.- dice stringendosi di nuovo tra le braccia. Scendo e respiro forte l'aria fredda e umida del lago. La seguo verso la porta del bar e di corsa entriamo nel magazzino. Non sono mai stato nel locale da quando è stato ristrutturato e devo ammetterlo, il ragazzino, o più probabilmente suo padre, ha fatto un buon lavoro anche qui. Gli scaffali sono nuovi, tutti i prodotti sono organizzati in maniera impeccabile e vedo diversi elettrodomestici nuovissimi nel reparto preparazioni. Vado dietro ad Emma controllando il respiro, spero di non imbattermi in un altro faccia a faccia col pivello. Sta volta mi gioco tutto.
Emma si volta all'improvviso, quasi le finisco addosso. Mi fissa.
-Senti- inizia torturandosi le mani evidentemente a disagio - ti ho chiamato perché volevo chiarire alcuni malintesi rispetto a quello che è successo sta mattina ma prima di salire...- tergiversa, non mi guarda nemmeno più in faccia quando parla. E continua a stritolarsi le mani.
-Calmati ti prego- la interrompo affermando quelle mani ballerine. Sono gelate. Non è una cosa insolita per Emma, le sue mani sono sempre più fredde delle mie. A lei piace scaldarsele su di me, la sua parte preferita? I pettorali. Ma più romanticamente diremo che adora appoggiarmele sul cuore...
La cosa patetica è che mi sto emozionando per il solo fatto di averle preso le mani tra le mie. Anche lei è rimasta un po' stupita dal mio gesto. Ha smesso di parlare e ora ha lo sguardo imbambolato sulle nostre mani.
Cazzo non ricordo nella vita di essere stato così tanto impacciato. Sono in uno spazio ristretto e buio con la ragazza che amo, perché non la sto ancora baciando? La sua bocca è lì, a cinquanta centimetri di distanza. Basterebbe attirarla verso di me e avrei quelle dolci e succose labbra sulle mie.
Scuoto la testa per allontanare il pensiero, non sono sicuro di poterlo fare, lei ora sta con quel tizio e la mia Emma non è una che tradisce.
-Calmati, ti giuro che non farò scenate. Andiamo a parlare in un posto più caldo hai le mani congelate.- dico strofinandole un po' con le mie prima di lasciarle. Emma balbetta qualcosa che sembra un "Va bene" e poi riprende a camminare. Prima della tenda che conduce dietro al bancone del bar Emma svolta a sinistra e si arrampica su una scala. Al di là della tenda sento dei borbottii, saranno Ardit e quell'altro ma non mi importa di loro. Seguo Emma e non fisso le sue gambe, o il suo adorabile fondoschiena. No, non lo faccio, sono un gentiluomo. Emma si volta e abbasso lo sguardo colpevole, colto in flagrante. Per mia fortuna lei decide di non infierire.
Apre una sgangherata porta a vetri; segno che la ristrutturazione non ha coinvolto anche il piano di sopra. La seguo all'interno di quello che dovrebbe essere il suo appartamento e trattengo il respiro mentre mi chiudo la porta alle mie spalle.

[Domani la seconda parte. Vi ringrazio per essere arrivati fino qua insieme a me e avermi regalato più di 1000 visualizzazioni e tante stelline⭐. È strano ma molto bello. Grazie.]

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