Una settimana passò in fretta, troppo in fretta. Mi dovetti svegliare presto e ci misi un po' ad alzarmi per via della stanchezza che mi teneva la palpebre pesanti come attaccate a dei pesi. Mi feci una doccia per darmi la carica ed una volta asciutta mi misi dei jeans neri un lupetto bianco e un maglione a mezze maniche grigio, mi truccai leggermente con del mascara e dell'elayner, indossai gli anfibi neri, misi lo zaino in spalla ed andai a fare colazione. La cucina era vuota, i miei genitori erano a lavoro e Valerio si stava ancora preparando, mangiai solo una merendina ed uno yogurt e presi il pranzo che Cinzia aveva lasciato sul tavolo. <Vale sbrigati che facciamo tardi!> urlai in direzione delle scale <arrivo!> e vidi mio fratello scendere dalle scale saltando gli ultimi tre gradini. Guardai fuori dalla finestra, stava piovendo e le nuvole ricoprivano il cielo come una coperta grigia e gli alberi si piegavano per il vento, mi misi il parka e presi il mio ombrello e uscii seguito da Valerio, non mi preoccupa se avesse fatto colazione, oramai ci eravamo abituati a delle routin par prepararci, io andavo in bagno mentre Vale faceva colazione, poi io uscivo dal bagno e lui entrava a sua volta mentre io mi vestivo e poi facevo colazione e poi miraggiungeva all'ingresso già vestito. Camminammo fino alla scuola di mio fratello a qualche isolato di distanza ed una volta la ci salutammo ed io mi incamminai verso la mia scuola, o almeno dovevo chiamarla così. Mi fermai davanti al cancello in ferro battuto che portava, dopo un vasto giardino con qualche albero da frutto quasi privo di foglie, all'ingresso della scuola, un portone di legno ancora chiuso, gli alunni erano fuori ad aspettare il suono della campanella dentro il giardino, altri invece, stavano fuori a fumare, ma oramai era molto normale trovare un minorenne, anche delle scuole medie che fuma. Ma la gente non faceva niente per impedirlo, tante persone si sono arrese a cambiarlo questa città, alcuni si abituano, altri se ne vanno. Ma io non sono una vigliacca e continuerò a vivere senza fare nessuna di queste cose, spero. I miei pensieri vennero interrotti dal suono della campanella, il portone venne aperto e tutti entrarono con troppa calma per i miei gusti, soltanto una piccola parte della scuola ci teneva ad andare puntuali, anzi, ci teneva ad andare a scuola. Entrai tentando di non urtare nessuno e a non incontrare nessuno, arrivai in classe e mi sedetti in prima fila, nel secondo banco più vicino alla porta perché il primo era occupato da Elisabeth una ragazza dai capelli rossi, gli occhi azzurri, un rossetto rosa confetto che le stava benissimo e sulle guance aveva una cascata di lentiggini. I nostri genitori erano amici e ci facevano giocare insieme ed il destino ha voluto che per caso ci incontrassimo anche alle superiori< ciao Eli come va'?> <Piuttosto lo dovrei dire a te che hai perso la memoria> esclamò e poi ridemmo all'unisono < si vero, comunque ora ricordo tutto beh quasi tutto ma non ti preoccupare mi ricordo tutto di te> dissi e i suoi occhi ebbero un guizzo di felicità <ottimo allora questo è da festeggiare, cinema?> <Cinema> trillai ma poi mi fermai di colpo, il resto della classe era arrivata e avevano già preso posto alcuni lanciando a me ed a Elisabeth delle occhiatacce che noi ricambiammo, non c'erano dubbi che l'odio era reciproco soltanto che io ed Elisabeth avevamo un motivo per odiarli, loro no. La lezione cominciò con un breve appello della Prof di matematica che lei isistette che la chiamassi Rose perché eravamo quasi amiche ma io per rispetto chiamavo semplicemente prof per rispetto. <Greta ti ricordi delle lezioni precedenti vero?> Mi chiese Rose <si e ho anche recuperato le lezioni in cui ero assente> <ottimo allora continuiamo> Rose fortunatamente capiva in pieno cosa dovevo supportare e quindi mi trattava molto bene perché anche lei sapeva che non poteva fare altro, cominciò a spiegare e nel frattempo che prendevo appunti l'ora volava e quando suonò la campanella io ed Elizabeth ci sbrigammo ad uscire ed andare ai nostri armadietti che si trovavano dall'altra parte della scuola, anche se non era quello il motivo per cui andavamo veloci, lo sapevamo entrambe <eih Elisabeth! Bel culo> disse un ragazzo che ci passo davanti, Elisabeth lo ignorò, sembrava calma ma in realtà stava soffrendo, giravano molte voci sul suo conto, alcuni dicevano che andava in giro a fare ,beh non "belle cose" alla gente, ovviamente questo era assolutamente falso, e ne io ne Elisabeth riuscivamo a capire perché le davano della puttana se nel bagno delle ragazze ci sono vari numeri di ragazze ben disposte a fare quel genere di cose, e sfortunatamente sapevo anche chi erano. Comunque sta il fatto che anche io sono molto presa di mira ma non per quelle cose <eih guardate un cesso che cammina!> disse una ragazza tra la folla nel corridoio, stavano parlando di me <chiamate un idraulico per piacere!> rispose un'altra, tutti si misero a ridere e a insultarmi, Elisabeth mi stava davanti come uno scudo ma rimediata solo palpate. Queste cose erano così frequenti quanto dolorose, mi sentivo come nel medioevo quando i malfattori venivano messi nella piazza e la gente li prendeva a sassate, soltanto che gli insulti sono mille volte peggio delle sassate, perché i sassi fanno danni superficiali, materiali, ma gli insulti, quelli vanno dritti dritti al cuore, e rimangono cicatrici ancora più grandi ed evidenti. Arrivammo ai nostri armadietti ed una volta presi i libri andammo in classe quasi correndo, entrambe con gli occhi lucidi, oltrepassammo la porta e ci sedemmo, guardai l'orologio appeso alla parete ancora tre minuti e sarebbero entrati gli altri. In quell'ora c'era la prof di greco, una donna alta con dei boccoli dorati che le ricadevano sulle spalle, era vestita con una gonna nera, una camicia bianca e un cappotto nero, ci guardo con i suoi occhi marroni e ci chiese con tono preoccupato <ragazze tutto bene?> Fecimo di sì con il capo, presi il mio quaderno e Elisabeth mi imitò, aprii una pagina a caso e scarabocchiai sui bordi qualsiasi cosa per calmarmi, un fiore appassito, un cuore spezzato e un occhio lacrimante e nel farlo strinsi forte la matita così tanto che pensai di romperla, mentre con la mano libera strinsi quella di Elisabeth che stava a capo chino, con i capelli che le coprivano il viso, ma tanto sapevo che stava piangendo, in questi anni abbiamo imparato a piangere in silenzio. Li odiavo, non solo perché mi trattavano male, ma perché facevano piangere Elisabeth, io ci ero un po' abituata, si piangevo ma appena tornavo a casa stavo già meglio (a parte che non volevo far preoccupare i miei genitori e nemmeno a mio fratello), ma lei ci rimaneva male per settimane e i genitori da quando avevano divorziato non si prendono più cura di lei, anzi, anche loro sospettano che lei sia una puttana, qualche volta si è pure tagliata le vene nel bagno delle ragazze, ma sono sempre riuscita a fermarla a metà operato ed ancora conserva le cicatrici. La campanella mi fece tornare a galla da quel mare di ricordi e la classe comincio a riempirsi, evitai di incrociare gli sguardi degli altri quando <ciao> sentii di da qualcuno alle mie spalle, mi voltai e con mia sorpresa Alexander si era seduto dietro di me, appena mi viene in volto il suo sorriso scomparve in un'espressione preoccupata <ti senti bene?> <Si sto bene> risposi con voce tremante, perfetto ora penserà che sono una piagnucolona, lo pensava tutta la scuola, quindi perché non lui? <No non stai bene> si sporse avanti con il busto e sussurrò <che è successo?> <Ho detto niente> risposi in tono acido ma più basso del suo, Alexander stava per ribattere quando la prof so schiarì la voce, mi rimisi composta ed ascoltai la lezione. Elisabeth si era un po' calmata, forse era il fatto che Alexander non smetteva di guardarmi (sentivo il suo sguardo sulle spalle anche se non lo vedevo) a farle uscire quel ghigno sulla faccia, scrisse qualcosa su un fogliettino e me lo passò lo presi al volo facendo attenzione alla prof e lo lessi"fai amicizia eh" presi la penna e scrissi "è un amico che ho incontrato ad una festa, non sapevo che venisse a greco con noi, è la prima volta che lo vedo in classe" e glielo passai, lo lesse e ci scrisse qualcos'altro "ed invece ti posso assicurare che lui è sempre stato in classe con noi" strano "non l'ho mai notato prima d'ora" "la solita sbadata" si ero sbadata ma mi sembra strano non notare un compagno di classe, beh! Almeno mi ero un po' calmata, ma ancora avevo ancora un nodo in gola. Quando la campanella suonò io ed Elisabeth ce ne andammo via, Alexander tento di seguirci ma bastò alzare il passo per perderlo di vista. La scuola finì e io mi ritrovai accanto al portone della scuola ad aspettare Elisabeth perché doveva cambiarsi perché aveva palestra alla ultima ora. Pioveva ancora e il cortile era pieno di ombrelli di ogni colore che mi mettevano una certa serenità, sta il fatto che non potevo non pensare a stamattina, le risate, gli insulti, Elisabeth. Questo mi riempiva di rabbia, <che avevi oggi?> non c'era bisogno di voltarmi sapevo che c'era Alexander dietro di me, rimasi in silenzio <allora?>, sentii i suoi passi avvicinarsi verso di me <niente> <stai mentendo> <ma non puoi farti gli affari tuoi?> risposi in tono acido <no> disse furioso, rimasi in silenzio, così Alexander preso dalla rabbia mi bloccò contro il muro, i nostri volti erano a pochi centimetri di distanza <senti so che non ci conosciamo molto ma io voglio solo aiutarti, è dalla settimana scorsa che mi respingi, cos'è che ti blocca?> Era ancora furioso ma c'era una nota di gentilezza, anzi di dolore nella sua voce <è che ho paura, paura di cio che pensano gli altri di me, non voglio avere un'altra persona contro, che ridà, che mi insulta, che mi giudica per una persona che non sono!> e poi silenzio, nei suoi occhi vedevo stupore ed anche, compassione? Qualcuno che conosco appena prova compassione per... me? <fin da piccola> continuai <sono sempre trattata male, come se fossi diversa, come se non fossi... normale> dissi l'ultima parola con un filo di voce, anche se andavo al classico non avevo mai capito cosa vuol dire il concetto di normalità, perché tutti mi facevano capire che io ed il mio modo di fare per loro era anormale, ormai non era solo pioggia a cadere, ma anche le mie lacrime si erano aggiunte a quel acquazzone, Alexander mi strinse le braccia e mi abbraccio forte <tu sei normale più di quanto tu creda Greta, sono loro che non voglio capire quanto tu sei straordinaria> nessuno mi aveva detto quelle parole, beh almeno non un ragazzo, mi sentivo... speciale. Ricambiai l'abbraccio e quando Elisabeth tornò dalla palestra ce ne andammo ognuna a casa propria ma prima salutai Ale con un leggero rossore sulle guance.
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Il mio demone
FantasiaChe cosa succederebbe se la tua vita fosse totalmente "normale" ad un certo punto la ritrovassi tutta sottosopra e il tuo modo di vedere le cose in modo totalmente "paranormale"? Beh, lo stai per scoprire