Al momento più opportuno

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La cenere cade, finendo sul tappeto. Quello nuovo, per giunta. Immagino che dovrei scattare verso l'alto, saltare giù da questo divano, togliere la cenere sul tappeto e magari anche gettare via la sigaretta, già che ci sono. Sì, in una situazione normale lo farei, ma questa non lo è. Lei è morta, ed oggi, esattamente oggi, ho dovuto assistere ai funerali: sarei rimasta volentieri a casa, ma non potevo, per rispetto dovevo presentarmi, o i suoi genitori non mi avrebbero mai perdonato. Un po' li capisco: vediamo i fatti, ero io alla guida dell'auto, sono stata io a decidere di accellerare per lasciarmi indietro la campagna, sono stata io a perdere il controllo del mezzo. E -anche se ancora non ho capito bene come- sono io che mi sono salvata con soli pochi graffi. D'accordo, la colpa non è interamente mia, lei non portava la cintura, io sì...ma questo non mi fa sentire meglio. Immagino non faccia sentire meglio nemmeno suo padre e sua madre. Probabilmente è per questo che loro non sanno la verità...o forse semplicemente perchè, alla fine, sono solo una vigliacca incapace di affrontarli. Mi alzo a fatica dal divano, cercando di liberarmi da quella coltre di pigrizia che mi avvolge da quando è morta. La chiamo pigrizia, mi illudo sia quello, solo per non ammettere con me stessa che è una vera e propria depressione, ma ho paura degli psicanalisti, forse per questo preferisco mentire.

Il campanello della porta suona, mentre io inarco un sopracciglio. Chi accidenti è?! Non amici o parenti, visto che ho espressamente fatto sapere ad ognuno di loro che disturbarmi avrebbe significato sicura morte. Tanto avevo già ucciso una volta, no? Non volontariamente, ma fa davvero differenza quando avevo io il volante in mano? Mi incammino verso la porta, pensando possa trattarsi del mio capo: quello lutto o non lutto non perde mai l'occasione di rompermi le palle. Apro e mi trovo davanti uno strano signore mai visto prima: è abbastanza alto, almeno più di me -ok, non che ci voglia molto-, indossa uno smokin nero, porta una bombetta ed ha anche degli irritanti baffetti spuntati. Un misto tra un perfetto gentleman inglese e il successore dei Moschettieri. Ma quello che mi colpisce non è tanto il suo aspetto -non solo, almeno- quanto la valigetta nera in cuoio che regge con la mano destra, e immediatamente dopo noto il foglio che tiene nella sinistra. Ah, no, no. Conosco il tipo: quello è un assicuratore! Bè, lo è anche mio fratello, quindi se voglio una polizza posso occuparmene anche da sola, inoltre conoscendo l'ambiente so bene che in quel foglio ci saranno più fregature che altro. Meglio anticiparlo, quindi, così potrò tornare al mio dolore e alla mia colpa. "No, guardi, non mi interessa. Conosco anche io il campo delle assicurazioni, quindi so bene che vuole solo fregarmi" Cerco di richiudere la porta, e pace se è maleducato sbattergliela in faccia. Purtroppo lo sconosciuto è più veloce e riesce a bloccarla, infilandoci un piede. A questo punto ho due possibilità: o apro, o chiudo con forza e glielo spacco. Peccato non si tratti di una vera e propria scelta. Con muta rassegnazione riapro la porta, e lo invito ad accomodarsi con un cenno della mano. Piuttosto stranamente lui non dice nulla, semplicemente entra in casa mia come se appartenesse a lui, quindi con comodità si siede sul divano, quello stesso divano dove mi trovavo prima.

"Buongiorno, signorina Coletti" Ecco, adesso la cosa sta cominciando a diventare inquietante. Come fa a sapere il mio nome? Questa casa non è intestata a me, non c'è neanche il mio nome sul campanello! Non dico niente, qualcosa, nel suo aspetto, mi suggerisce che è meglio tacere. Non che ci sia qualcosa di veramente strano, in lui, sembra un tipo eccentrico, ma ne ho incontrati tanti. L'ultimo signore che si è fatto assicurare da mio fratello ha preteso una polizza contro gli attacchi da parte di mostri demoniaci, quindi... "Come sa il mio nome?" mi siedo sull'altro divano, guardandolo con attenzione, e, al tempo stesso, con circospezione. Lo sconosciuto sorride, mostrando una fila di denti bianchissimi, forse anche troppo. Che razza di dentifricio usa? "Oh, ma io so tante cose di lei..." Non dico niente, limitandomi a fissarlo. La mano sinistra scivola nella tasca dei jeans, e da lì estraggo il mio cellulare, tenendolo in mano con finta tranquillità. Se cercherà di fare qualcosa di strano, chiamerò la polizia: il Commissariato è vicino, arriveranno in un lampo. "...per esempio so di quell'incidente. Deve essere davvero brutto essere l'involontaria assassina della propria fidanzata, vero?" Spalanco gli occhi e perdo la presa sul cellulare, che cade per terra. Abbasso lo sguardo, quasi in trance: lo schermo si è fracassato, e probabilmente anche il resto del cellulare è ormai inutilizzabile...maledetti telefoni moderni, con i vecchi modelli Nokia non sarebbe mai successo. Ma non è questo il momento di preoccuparmi del cellulare, quello che l'uomo ha appena detto è molto più preoccupante. Nessuno sa di quell'incidente. O, meglio, nessuno sa che al volante c'ero io! Ho mentito, ho detto che guidava Rob, non ho ammesso con nessuno che la colpa è interamente mia, neanche i suoi genitori lo sanno. "...lei...lei...c...come lo sa...?" Le parole quasi mi muoiono in gola, e trovo difficile parlare. Quello sconosciuto è a conoscenza del mio segreto, allora forse anche altri lo sanno. E i genitori di Rob? Cosa penseranno? Cosa faranno quando verranno a sapere che io ho ucciso la loro unica figlia? "Gliel'ho detto, io so tante cose. So che si sente in colpa, che crede di averla uccisa, esattamente come un comune assassino. Vorrebbe che tutto questo non fosse mai successo, non è vero?" Non rispondo, non so se perchè trovo tutto questo spaventoso o se semplicemente credo che la risposta sia scontata. Lo sconosciuto non sembra dare troppa importanza al mio silenzio, e preferisce andare avanti nel suo discorso. "Io posso aiutarla..." una pausa "Vede, la mia Ditta è molto interessata alle persone defunte. Capisce, uccidendo la sua fidanzata ci ha omaggiato di un inaspettato introito. Era ancora molto giovane, e in salute, ci sarebbero voluti anni prima che si decidesse finalmente a morire" Sgrano gli occhi, incredula. Quel tipo è un folle, se avessi ancora il cellulare chiamerei un Manicomio, ma non ce l'ho, e in fondo mi sento quasi obbligata a restare lì seduta, ad ascoltarlo, come se decine di mani oscure mi impedissero di alzarmi e buttarlo fuori a calci. "Tuttavia, per noi è una mera faccenda di numero. La sua fidanzata o un'altra persona per noi non fa differenza..." si ferma un istante, cominciando a tormentarsi quei corti baffetti, che mi irritano ogni secondo di più. Sorride, un sorriso malvagio che assomiglia più a un ghigno, quindi posa il foglio che ha con sè sul tavolinetto che ci divide, spingendolo con le dita nella mia direzione. "Basta una firmetta, vede. Una firmetta e tutto questo non sarà mai accaduto. Nessun incidente, nessuna morte, nessuna colpa. Tutto come prima. Non è magnifico?" Il suo sorriso si apre ancora di più, rivelando una fila infinita di denti, sono troppo lontana per contarli, ma giurerei che siano di più dei trentadue dei comuni mortali. Lanciò un'occhiata al foglio, sicura che sia tutto uno scherzo, o quell'uomo è pazzo, o mi sta prendendo in giro. Magari si tratta dello scherzo di qualche collega: uno scherzo crudele. Tuttavia la situazione è strana, l'intera atmosfera è strana, c'è persino un innaturale silenzio. E quando lhai l'autostrada che passa dietro la casa e vivi in un quartiere industriale quasi ti scordi cosa sia, il silenzio. Ma sono un'affarista, non mi faccio incastrare, e di certo non firmo contratti che non conosco: terrestri o spirituali che siano. Lo ammetto, non credo al paranormale, e la parte razionale di me è convintissima di avere di fronte un pazzo...ma c'è anche una parte di me che si sta disperatamente nutrendo di speranza. Magari è tutto vero, magari si tratta di un miracolo, anche se lo sconosciuto non ha esattamente l'aria di un cherubino. "Cosa vuole in cambio?" domando, scrutandolo con serietà. Lui prende una penna dal taschino, nera, con i bordi in oro, la posa sul tavolino, accanto al contratto. "Bè, vede, signorina, io non ho il potere di lavare interamente la sua colpa. Inoltre, mi capisce, io sono un uomo d'affari, non posso rinunciare a un introito senza ottenere niente" Resto immobile, con la faccia di una perfetta giocatrice di poker, anche se perdo quasi tutte le partite. Non voglio incalzarlo, voglio che sia lui a dirmi cosa vuole da me. Ci sono centinaia di persone che hanno perso dei cari, c'è chi ha perso addirittura dei figli...perchè è venuto da me? Solo questo vorrei capire. "Quindi, l'affare che le propongo è molto semplice. Lei firma, in questo modo riottiene la sua fidanzata e non ci sarà alcun incidente. La sua vita potrà trascorrere in tranquillità...ma, in cambio, quando lo riterrò opportuno, lei dovrà pagare il suo debito" Forse è la mia immaginazione che mi gioca qualche scherzo, ma giurerei di aver visto brillare i suoi occhi, a quelle parole. Qualcosa non torna, a conti fatti lui non mi ha risposto. "Come dovrei pagare?" chiedo quindi, circospetta. Secondo dopo secondo cresce in me la consapevolezza di quello che sto facendo: un patto con il diavolo, ecco cos'è. Che quello sia lui in persona o un suo emissario poco conta. Ecco che il ghigno si fa di nuovo strada nella sua bocca, mentre lui si china verso di me, diminuendo la distanza tra noi. "Come le ho detto, è una questione di numeri. In cambio della vita della sua fidanzata, lei prenderà, al momento opportuno, due vite. Per me" Resto in silenzio qualche secondo, mentre la mia mente elabora le informazioni raccolte. Devo essere cauta, non devo farmi fregare come una pivella. "Chi mi garantisce che non mi chiederai di ucciderla e di suicidarmi, per ottenere quelle due vite?" lo guardo con attenzione, ma già la mia mano destra scatta verso il tavolino, afferrando la penna. Mi basta quella risposta, quell'unica risposta per firmare. Forse non dovrei, mi sta chiedendo di uccidere due persone, so che non laverei affatto la mia colpa, piuttosto ne creerei una più grande. Ma si tratta di Lei. Non sono un'ipocrita, non posso dire che per me la Sua vita valga come quella degli altri. Lui sorride e porta le mani di fronte al petto, cominciando a muoverle, come per scacciare quel sospetto. "Ma no, no, suvvia, non sono così meschino" sono convinta che potrebbe esserlo molto di più, se volesse "Le assicuro che non sarà così. Anzi, le dirò di più, sarà lei stessa a decidere quali vite prendere. Io le indicherò solo il momento" una piccola pausa accompagna le sue parole "Allora...affare fatto?" con un gesto della mano mi indica il foglio, che aspetta ancora una mia firma. La mano mi trema, ma riesco comunque a vergare nome e cognome in quello spazio. Non appena stacco la penna dal foglio, dopo aver ultimato la stipulazione del contratto, la testa comincia a girarmi e la vista si offusca. Cado sul pavimento, battendo la testa e l'ultima cosa che vedo è lo sconosciuto, che prende il foglio firmato e lo sistema nella sua borsa. Mentre chiudo gli occhi riesco a vedere che ha decine di contratti, lì dentro.

Apro gli occhi, la testa mi scoppia, e mi sento a pezzi. Dove sono? Mi metto a sedere, ancora intontita. Sono nel letto, questo posso vederlo. Mi volto alla mia sinistra e sgrano gli occhi, incredula. Roberta è lì! Ed è...viva! Ne sono sicura, è viva, sta solo dormendo, posso vedere il suo petto alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro. Lancio un leggero grido, stupefatta, e lei apre gli occhi, guardandomi con curiosità. "Amore, che succede?" mi guarda come se fossi pazza, forse lo sono davvero. Le sorrido appena, cercando di comportarmi in modo naturale. "Niente, niente. Solo un brutto sogno". Con un sorriso si alza, dirigendosi verso la cucina, e lasciandomi lì, preda dei miei pensieri. Stordita mi alzo di scatto, correndo fino alla finestra e spalancandola. Osservo le casette di legno intorno, gli alberi, la natura, i cani del proprietario dello chalet accanto, che corrono nel prato, i bambini dei vicini che mi salutano con grandi schiamazzi. Siamo ancora in montagna, non siamo mai tornate a casa, l'incidente...non esiste! Sorrido, felice, ispirando a pieni polmoni quell'aria limpida: era tutto un brutto sogno. L'incidente, il funerale, quello strano tipo...solo un incubo. Ho ancora un sorriso entusiasta stampato sulla faccia mentre abbasso lo sguardo, per salutare a mia volta i bambini...ma ecco che il sorriso mi muore sul volto. Seduto su una panchina, poco distante, lo sconosciuto mi guarda, arricciandosi i baffetti e con il suo classico ghigno. E in quello stesso istante sento la sua voce nella mia testa.

"Si ricordi, signorina...al momento più opportuno..."

Creepypasta - First BookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora