Perdono

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Da quando ho sacrificato il mio stesso sangue, là, su quell'altare, per voi, o Muse, flebile si è fatto il vostro sussurrare, tramite una parete creata dalla migliore roccia strappo con le unghie parole scarne, affamate di una luce di cui sono prive.
Ho gettato acqua sul fuoco tentando di donargli vita eterna ravvivata, ho toccato il sole illudendomi di non corrodermi, nella superbia cieca mi sono crogiolato, stolto mortale ho giocato a sedermi sullo scranno del dio della poesia fingendo di essere tale, mentre bevevo di pioggia fangosa la vedevo limpida, carica di promesse e ardore.

Mi dibatto nel mio bruciore sperando di risorgere qual fenice, ma forse semplicemente morrò, cenere inghiottita dalla caducità di un tempo che ride trascinando come pupazzi sporchi il filo sgualcito di un poeta schiantato.

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