Cassandra

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Cassandra guardava avanti a sè con espressione persa.
Un piede dopo l'altro, mascherata agli altri da un incantesimo di disillusione, avanzava lentamente, con la testa altrove.
Un leggero rumore di passi si diffondeva intorno a lei, fortunatamente coperto dalle voci e dai rumori della natura.
Un altro giorno era passato.

Ne rimangono solo 85. Pensò con stanchezza.

Quando finalmente raggiunse il limite del villaggio, si guardò intorno con circospezione.
Era piuttosto tardi, ma la prudenza non era mai troppa. Facendo attenzione a dove metteva i piedi, riprese a camminare lentamente verso la stamberga strillante, che si stagliava contro il sole all'orizzonte.
Tutto sommato non era niente di che. Una vecchia casa abbandonata che sarebbe caduta in pezzi se non fosse stato per un qualche tipo di magia. Era un buon posto in cui rifugiarsi, se non si faceva caso alla polvere e ai continui rumori inquietanti. Cosa ancora migliore però, permetteva di arrivare a Hogsmade senza problemi, se si era abbastanza prudenti da non farsi vedere.
Era stata davvero una fortuna per lei avere Rose come amica. Era lei che le aveva mostrato quel passaggio, rivelandole di averlo trovato sulla mappa del malandrino di James. Se non fosse che James l'avrebbe ammazzata, gliel'avrebbe rubata da tempo. Per uno studente, quella mappa, era un'arma formidabile. Aveva saputo della storia da Al, a cui l'aveva raccontata il padre, Harry Potter.
Attorno a quel nome vorticava un mistero affascinante. Tutti avevano sentito parlare di lui nel mondo magico. Non c'era bambino, ragazzo, adulto o vecchio che non l'avesse pronunciato almeno una volta.
Era entrato nella storia, e Cassandra non poteva che invidiare Albus e Rose per avere avuto la fortuna di nascere in quella famiglia.

Li invidiava così tanto. A volte sentiva addirittura l'odio sopraffarla.
Non sopportava la loro fortuna, e non riusciva a capire perché fosse stato deciso che l'avrebbero ricevuta loro, e non lei. Cosa ancora più frustante era che Rose e Albus, così come James e tanti altri dei loro cugini, non sembravano rendersi conto di quanto fosse bello ciò che possedevano. Erano così abituati a ciò che avevano, che davano tutto per scontato ormai. Era così egoista da parte loro, eppure imperterriti continuavano a vedere solamente ciò che di male c'era nella loro vita. Lei non li biasimava, d'altronde ci si accorge di quanto siano fondamentali le persone solo quando ne si sente la mancanza, quando le si ha perse.

Cassandra amava Rose. Amava Albus. Li amava pienamente, nel massimo delle sue capacità, ma si accorgeva di quanto fosse difficile dimostrarglielo. Nella sua quotidianità, ogni istante era una scelta continua, e lei si sentiva incapace di scegliere il meglio. Soffriva costantemente, e faceva soffrire gli altri. Sapeva cosa pensavano di lei i suoi amici: che a lei non fregasse niente di nessuno. Che per lei il pensiero altrui non fosse importante. La verità è che forse lo era fin troppo. Le importava troppo degli altri, ed era immobilizzata dalla paura di non essere abbastanza per loro. Nessuno sembrava in grado di dimostrarle di essere pronto a starle accanto, e aveva finito con il chiudersi in se stessa, sicura che almeno avrebbe potuto contare sul proprio sostegno ogni giorno.

Avrebbe voluto poter contare su Rose, su Albus, su James, su una persona qualunque, ma la verità è che l'unica su cui avrebbe sempre potuto fare affidamento era se stessa. La vita non è fatta per essere condivisa, e la solitudine è una condizione che prima o poi bisogna imparare ad accettare. Siamo soli, perchè ogni giorno lo si può vivere sempre e solo con se stessi.
La vita è cosi, siamo solo nella nostra testa e la nostra testa è solo in noi. Proviamo quello che proviamo solo in noi, e l'empatia non basterà mai a poterci capire a vicenda. Siamo incredibili meraviglie nell'universo, ma nessuna di noi può essere partecipe dello spettacolo di un'altra.
Siamo in noi, e in noi soltanto.


Cassandra si guardò attorno, nella desolazione della stamberga strillante. Sentì qualcosa dentro il suo petto farsi più pensante all'interno di quelle stanze. Il decadimento di quel luogo era così evidente che sembrò rivelarle la natura misera dell'umanità.
Si guardò, attraverso uno dei tanti vetri rotti sparsi in terra, e si accorse di non sapere perché fosse al mondo, né cosa il mondo stesso fosse. Si sentì di colpo immersa in un'ignoranza spaventosa di tutto, incapace di giungere ad una verità, di scoprire qualcosa su se stessa, sulla realtà, sulla vita. Capì che stava vivendo nell'incertezza da sempre.
Si guardò le mani, e le sentì estranee. Non sapeva più cosa le apparteneva e cosa no. Chi era lei?
Non riconobbe il suo corpo, e se ne distaccò, come incapace di sentirsi ancora sua prigioniera. 
Di colpo non seppe più cosa fosse il suo stesso pensare, e lo odiò. Odiò essere costretta a sentire se stessa, a sentire la realtà attorno a sé e a non poter conoscere nulla. Come si poteva vivere una vita intera senza saperne la ragione, senza poterne conoscere il senso?
Scoprirsi immersi nell'infinito spazio dell'universo, pronto però a imprigionarti al suo interno.
Cassandra guardava le stelle, ogni sera. Le guardava insistentemente, domandandosi perché il cielo le sembrasse il coperchio di una grande scatola, tappezzata di piccoli buchi.
Ecco cos'era il mondo per lei. Un'immensa inutile scatola, posta chissà dove e chissà perché, chiusa da un grande coperchio blu, pieno di piccoli buchi.
E cosa ci fosse al di là chi poteva saperlo? Che cosa fosse la vita, chi poteva saperlo?
Perché continuare a viverla, chi poteva saperlo?

In quel momento, Cassandra si ritrovò a ridere.
Rise proprio mentre si incamminava verso il passaggio segreto. Rise forte, sentendo quanto fosse ridicolo l'uomo, nella sua immensa miseria. Era così stupido credere nella vita, affidarsi all'illusione della realtà dimenticandosi della propria impotenza.
Cassandra sentì quella risata bruciarle la gola, e le gambe le cedettero subito, mentre le lacrime già le inondavano le guance.

Perchè inseguire un mondo che ti lascia sempre indietro?
Voleva fermarsi, lasciarlo alla sua folle corsa, guardarlo allontanarsi nel buio. Perché continuare a inseguire una possibilità di senso?
Perché non arrendersi alla convinzione che non ce ne sia uno?

Perché?

Perché?

PERCHÉ?

Il suo cuore sembrò gridarlo alla sua mente, nel tentativo di arrestare tutto quel dolore.

Perché?

Perché valeva la pena tentare.

Vale la pena tentare.
Ne vale la pena.
Ne è valsa la pena.
Ne varrà sempre la pena.

Non si sarebbe arresa, non dopo tutti i sacrifici che aveva fatto.

Era difficile, questo è vero. Era una lotta, era faticosa, dolorosa, piena di ostacoli, l'avrebbe fatta soffrire ancora e ancora, non era una sfida per deboli.
L'avrebbe logorata, ma avrebbe sopportato il dolore, stringendo i denti e continuando ad avanzare.
Avrebbe fatto questo sforzo, per se stessa. Doveva farlo.

Sentiva la rabbia repressa cercare di uscire, correrle nelle vene alla ricerca di un' uscita. La sentiva ribollirle nel sangue come lava in un vulcano, e non sapeva come trattenerla.
Non poteva permettersi di esplodere. Si sentiva persa, e forse era questa la causa di quella rabbia. Si sentiva persa in se stessa e persa agli altri.
Non poteva esplodere, o avrebbe ferito e si sarebbe ferita ancora. E non ce l'avrebbe fatta, non di nuovo.

Accasciata contro il muro di quel luogo desolato come il suo cuore, lasciò che ogni lacrima le portasse via un pezzo di quella rabbia, che il suo dolore esplodesse nella  solitudine, al sicuro da ogni altra mente, se non la sua.
Sentì la testa svuotarsi di ogni gioia, ma anche di ogni dolore. Lasciò che tutto fluisse via, che il nulla si impossessasse della sua mente.
Sentì le tenebre avvolgerla in un freddo abbraccio che spense il fuoco del suo dolore. Spense ogni cosa, lasciandola nel buio.
Il nulla la raccolse dal fondo della sua mente, trascinandola con sé.
Sentendosi avvolgere dall'oscurità, Cassandra sorrise. Era un sorriso amaro, il sorriso di chi sa di perdere.
Con gli occhi spenti, lucidi di lacrime, si lasciò andare al buio.
Chiuse gli occhi, e svanì tutto. Per un solo attimo, svanì tutto quanto.

Looking for myselfDove le storie prendono vita. Scoprilo ora