Capitolo 8 ~ M.U.G.

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Keeran

Nel bel mezzo del sogno in cui diventavo re di un piccolo paesino di folletti che mi veneravano come un dio, fui destato da delle urla così forti che mi fecero saltare sull'attenti. Per lo spavento, ero addirittura caduto dal letto, colpendo le assi impolverate del pavimento della casetta con il mio deretano ferito. Mi unii allora al grido disumano che aveva interrotto il mio riposino di bellezza, per scoprire poi che l'unico rimasto a gridare ero io.

Con non poca fatica, mi misi sulle ginocchia e mi sporsi oltre il bordo del lettino sorprendendo una Wynne leggermente arrossata e con i capelli parecchio spettinati. Doveva essersi appena svegliata anche lei, ma perché aveva urlato? Intendeva farmi uno scherzo, quella... No, Keeran, no. Non puoi dire un'altra parolaccia, cavolo!
Notai che mi fissava quasi intenerita. Perché? Avevo qualcosa che non andava? Mi sistemai il ciuffo, prima di sbottare:

- Che cos'hai nella testa? Mi hai fatto morire di paura!
Allora, mi sedetti, facendo attenzione a poggiare il peso sulla chiappa destra, con una lentezza disarmante.

- Miseriaccia! Sto seduto solo su mezza chiappa... - mormorai, senza accorgermene. Sperai che non mi avesse sentito.

- Perché sei caduto dal letto? - mi domandò sorridendo divertita. Perché era così bella? Se fosse stata brutta sarebbe stato tutto più semplice.

- Perché urlavi?! - ribattei io, piccato.

- Non si risponde a una domanda con un'altra domanda. È da maleducati. Sicuramente, tua nonna...

- No, no, no. Lavati la bocca prima di parlare di mia nonna!

- Mica la stavo offendendo...

- Ehi, ehi... La smettiamo con queste chiacchiere da primadonna, così potete sloggiare da qui, prima che vi mandi via a calci in culo?

La voce non era di Wynne in quanto troppo roca e virile. Voltai il collo verso la direzione del suono e spalancai gli occhi davanti a quello spettacolo. Sette uomini di proporzioni molto piccole erano posti di fronte al lettino. Erano tutti bassi e tarchiati e indossavano tutine da minatore e un cappello di lana colorato, largo e slavato. Il primo a partire da sinistra era corrucciato, con le braccia incrociate al petto e una piccozza stretta in una mano; il secondo e il terzo sembravano non prestare attenzione ed erano intenti a giocare tra loro, mentre il quarto cercava di inserirsi nella loro conversazione; il quinto dormiva in piedi, russando profondamente; il sesto aveva il naso rosso e umido, mentre il settimo, più vecchio, con gli occhiali poggiati sul nasino e la barba canuta, osservava il mio volto con curiosità.

Intuii che fosse stato il nano più imbronciato a prendere parola. Era quello che agguantava la piccozza e, infatti, stava per continuare quando...

- Etciùùùùùu!

Lo starnuto era stato così potente da far volare il lenzuolo che copriva le gambe di Wynne. A produrlo era stato il nano con il naso colante che, arrossato in volto per lo sforzo e per la vergogna, si era nascosto dietro quello dall'aria intellettuale, il barbuto quattrocchi.
Era il mio momento per presentarmi.

- Ehi, nanerottoli! - esclamai con un gran sorriso. Volevo provare a essere amichevole, in modo da attirarmi la loro simpatia. D'altronde, la nonna diceva sempre che bisogna essere gentili con gli sconosciuti, in particolare con i propri ospiti, poiché si tratta di buona educazione. Ed era, inoltre, un modo per disporre bene il proprio interlocutore. Ma, stavolta, non ottenni proprio l'effetto sperato.

- Nanerottolo a chi? - sbraitò, infatti, quello armato. Arretrai di un passo, sempre sulle ginocchia, intimorito dalla piccozza agitata con tanta rabbia.
- Come osi tu, stupido troglodita su mezza chiappa! Tu che hai usurpato il nostro rifiugio! Dovevamo ucciderli quando dormivano, Canuto! Ma nessuno di voi mi ascolta mai.

Scriptorium - Come Vi Distruggiamo Il Lieto FineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora