Capitolo 9 ~ Diarrea nanica

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Wynne

Ero in una di quelle fasi in cui ti chiedi cosa hai fatto di male nella tua vita precedente, se hai trattato davvero così male il prossimo, se veramente ti meriti tutto ciò. Perché questa nuova prova che ero tenuta a superare era, forse, la peggiore di tutte. Mi ero armata bene: avevo lavato via dalle mani i residui di sangue secco, cercando di non rimuginare sugli eventi di quella notte, poiché intendevo procrastinare questa riflessione al più tardi possibile; avevo infilato un paio di guanti di lana per difendere la mia manicure; avevo raccolto i capelli sotto il cappellino che avevo rubato a Moccioso; avevo radunato tutto il mio coraggio. Sperai che bastasse. Infatti, se questa prova fosse fallita sarebbero accadute due catastrofi: la prima, sarei morta dalla fame; la seconda, sarei morta perché vittima di cannibalismo nanico.

Avevo provato a cucinare una volta soltanto. Ero in casa da sola perché mia madre e mio padre erano via per un convegno a Parigi, la colf non era ancora arrivata e il cuoco, un francese che io ritenevo il dio della cucina, aveva preso alcuni giorni di ferie per la laurea del figlio. Tornata da un'estenuante mattinata all'università, durante la quale avevo profuso tutte le mie energie per la preparazione della tesi di laurea, potete immaginare la fame che mi torturava lo stomaco.
Ma, ironia della sorte, il frigo era vuoto e le dispense dei dolcetti erano come al solito sotto chiave per impedire che mi ingozzassi di schifezze, come facevo sempre quando ero in ansia.
Così, mi ero dovuta arrangiare nella preparazione dell'unica cosa che avevo trovato in frigo: il tacchino. Sarebbe stato ottimo, ne sono certa, se solo... se solo non fosse esploso nel forno.

Rabbrividii, ricordando la scena orribile dei pezzi di carne bruciacchiata incollati alle pareti del forno, con la salsa che grondava e la nuvola di fumo così estesa e puzzolente che si era persino attivato l'allarme anti-incendio. Ora, memore di quella brutta esperienza, avevo un'ansia da prestazione divorante e i nanetti che premevano per mangiare, dietro di me, non erano certamente d'aiuto.

- Ti vuoi muovere? - frignò Peperoncino.

Mi voltai a guardarlo con un'occhiataccia. Lui non poteva avere idea di cosa significasse sporcare le mie preziose manine per preparare una cena edibile per me, ma anche per lui. Sospettavo una propensione dei nani verso il cannibalismo: se non fossi riuscita a preparare qualcosa di commestibile, mi avrebbero mangiata prima ancora che morissi per la fame. Erano atavici. Comprendevo perfettamente quanto fosse estenuante una giornata a lavorare in miniera (in realtà non proprio), ma avrebbero anche potuto comprendere me, povera succube di un sogno che ormai avevo capito che sogno non era. Scacciai dalla mia mente l'immagine degli occhi vuoti del cacciatore, scuotendo il capo. Avevo un ostacolo invalicabile da affrontare e sapevo che non sarebbe stato facile, pertanto era meglio concentrarmi sul mio lavoro.

- Ti sbrighi? - rincarò la dose il nanetto. Lo odiavo. Gliel'avrei presto piantato in testa il coltello che avevo appena afferrato e che avrei dovuto utilizzare per tagliuzzare le erbe che avevo raccolto dal giardino.

- Cosa ci cucini? - mi domandò Heidi. Il nano aveva due cerchi rosa sulle guance che lo facevano assomigliare alla tenera quanto irritante bambina delle montagne. Questi sono i danni di chi non sa usare il blush!

- Non lo so... che ne dite di nano arrosto alle erbette aromatiche? - risposi sarcastica. Mica tanto...

- È saporito? - chiese Sorrisino, il nano che avevo invitato ad abbracciare il muro.

- Vuoi fare la prova tu? - il mio tono era mellifluo. Dovevo stargli proprio simpatica purtroppo. Corse ad abbracciarmi.

- Sei proprio carina. Ti voglio bene.

Oh, che amore! Ma non gli avevo appena concesso l'onore di essere cucinato per primo? Era giusto avere questa riconoscenza, ma era un po' opprimente.

Scriptorium - Come Vi Distruggiamo Il Lieto FineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora