Capitolo 9

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«Si prega di allacciare le cinture, stiamo per decollare» ci informò la voce radiofonica proveniente dalla cabina di pilotaggio. L'aereo si posizionò sulla pista e accese i motori, provocando un forte rombo.
Due mani si strinsero al mio braccio e ci misi poco a rendermi conto che erano quelle di Federica. In pochi secondi organizzai mentalmente uno scherzo per metterla in imbarazzo davanti a tutti i passeggeri, ma quando vidi il suo volto segnato dalla paura e dal terrore mi bloccai. Che motivo avevo di ferirla?

Per tutto il viaggio, Federica non aveva mai lasciato la presa, nemmeno quando si era addormentata. Ormai era sveglia da più di 10 minuti e se avesse voluto staccarsi, avrebbe potuto farlo. Le sue mani erano ancora agganciate a me e stranamente il ciò non mi dispiaceva: lo trovavo un gesto fuori luogo, considerato che non ci conoscevamo nemmeno, ma io non le stavo impedendo di starmi così vicino. Ed era estremamente strano.
«I gentili passeggeri sono pregati di sedersi ed agganciare le cinture di sicurezza, stiamo per atterrare». Notai Federica stiracchiarsi, così alzai il braccio per permetterle di distendersi.
«Scusa, eri troppo comodo» disse riferendosi al fatto che aveva riposato e dormito, praticamente aggrappandosi a me.
«Tranquilla, sai com'è... me lo dicono tutti» scherzai.
«Dopo l'atterraggio ci odieremo come prima, non ti illudere» farfugliò ed io risi. Era una delle poche volte che qualcuno riusciva a farmi ridere dopo l' incidente. E tutto ciò era davvero strano.
Quando l'aereo iniziò ad inclinarsi in avanti, Federica mi strinse la mano. Più aumentava la velocità, più la stretta era solida, fino a quando il carrello non toccò la pista d'atterraggio e lei emise un sonoro sospiro. Sganciammo le cinture, presi il mio bagaglio e poi la aiutai a far scendere anche il suo piccolo, che poi tanto piccolo non era, beauty case.
Non ricordo né come, né perché ma le nostre mani si sfiorarono e automaticamente le nostre dita si incrociarono. Uscimmo così dal portellone e scendemmo le scalette senza più proferire nemmeno una parola.
Ci accolse subito un auto nera, probabilmente era per lei, ma non mi fece alcun cenno per farmi andare via, così mi accomodai sui sedili posteriori del suv con lei.
«Sai che ti odio ancora vero?» mi chiese, ovviamente con tono retorico. Sapevo benissimo che la nostra "tregua" non sarebbe durata ancora a lungo, eppure ci conoscevamo da circa 8 ore, ed eravamo appena atterrati a Gran Canaria, un'isola piuttosto piccola, ma ero certo che non ci saremmo mai incontrati.

Chissà se ti arriva il mio pensiero♥️ #RedericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora