Capitolo 14

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Mi incamminai verso il mio ombrellone sotto lo sguardo confuso di lei. Effettivamente non sapevo spiegarmi perché mi stavo allontanando, e non riuscivo a capire nemmeno perché fosse un problema divertirmi con lei. La sua ironia, che a volte reputavo forzata ed eccessiva, mi innervosiva al punto tale da farmi perdere il lume della ragione. Mai in tutta la mia vita mi ero comportato così con una ragazza. Ma con lei cambiavo. Il ragazzo formale che diventavo quando mi trovavo con una donna scompariva e lasciava posto ad un ragazzo vivace, provocatorio e forse anche più vivo. Ed era curioso che tutto ciò stava accadendo da quella mattina, precisamente da quando avevo incontrato Federica.

Le ore passarono velocemente poiché rimasi a prendere il sole fino alle 19.00. Andreas era tornato al campeggio un'ora prima perché voleva farsi la doccia e prepararsi per la serata.
Presi lo zaino che mi ero portato e tornai all'hotel.
Mi feci una doccia velocemente e indossai un paio di jeans blu e una maglietta bianca, come avevo stabilito quella mattina con il direttore. Infilai nella tasca il minimo indispensabile, portafoglio, cellulare e chiavi, e poi uscii dalla stanza. Mentre stavo chiudendo la porta sentii una voce fin troppo familiare.
«C'ho fame regà». Federica. Ero certo che fosse lei, ma per la prima volta notai un accento romano marcato. La sua esclamazione mi fece sorridere anche se stavo nuovamente cercando di rimanere serio.
«Ancora tu» disse la stessa voce. Alzai gli occhi e me la ritrovai davanti. Era accompagnata da due uomini più grandi di lei di una decina di anni.
«Andate giù intanto, io chiudo la stanza e arrivo» liquidò i due con facilità.
«Sicura?» chiese uno di loro, che mi stava facendo una radiografia a furia di fissarmi.
«Tranquillo, andate pure Ale» concluse e tornò a guardarmi.
«Guarda che non serve che mi aspetti» disse tranquillamente. Troppo tranquillamente per i suoi modi. C'era qualcosa che non andava, o che non mi tornava, ma decisi di lasciar perdere perché non la conoscevo nemmeno e probabilmente mi sbagliavo.
«Faccio quello che voglio» risposi semplicemente.
Sbuffò e bisbigliò qualcosa di indecifrabile. Aveva parlato talmente piano e talmente veloce che non riuscii a comprendere nemmeno una singola parola.
«Cosa?» domandai per farle ripetere ciò che aveva detto.
«No, niente» replicò senza nemmeno guardarmi negli occhi.
«Non hai nemmeno il coraggio di ripetere qualcosa ad alta voce, però quando si tratta di parlare a caso o di provocare sei sempre la prima» sbottai. Avevo esagerato, si avevo decisamente esagerato, però non avevo intenzione di farmi trattare come uno stupido. Il suo caratterino da ragazza viziata era praticamente incompatibile con il mio, e ne andavo fiero.
«Vaffanculo, veramente Riccardo, vaffanculo». Rimasi sorpreso dalla sua imprecazione. Era la prima volta che mi chiamava per nome, e di certo il momento ed il contesto non mi piacevano.
«Ho solo detto che adesso mi aspetti, ma prima quando eravamo in spiaggia te ne sei andato senza una ragione, senza dire nulla. Non vedo perché io debba ripeterti ciò che dico e darti spiegazioni, se tu fai cose senza senso senza farne capire il perché». Si voltò e scese le scale in fretta e furia.
Rimasi bloccato a guardare il muro dove prima era appoggiata lei. Mi aveva sputato tutto in faccia, dalla prima all'ultima parola. Tutto quello che non riusciva a spiegarsi lei, non riuscivo a spiegarmelo io, ma di certo questo non potevo dirglielo.

Chissà se ti arriva il mio pensiero♥️ #RedericaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora