Capitolo 25

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Dopo aver raccolto tutte le sue cose velocemente si sedette sulla moto aspettando che anche io facessi lo stesso.
Presi il casco mi accomodai, ma quando mi voltai verso di lei notai che lei era senza protezioni.
«Federica il casco» dissi autoritario.
«Come faccio a metterlo se è rotto idiota?» ammiccò innervosita.
Solo poi mi ricordai che prima si era distrutto. Scesi e le consegnai in mano il mio, ma lei non si mosse, non voleva prenderlo.
«Guarda che ti pago lo stesso, anche se mi fai andare in giro senza» disse tranquilla.
I suoi occhi erano più intensi di prima e io capii che il motivo per cui non voleva indossare il casco era un altro in realtà.
«Fede non mi perdonerei mai se ti succedesse qualcosa, mettilo».
«Si capisco il tuo capo poi...» iniziò ma la interruppi subito: «Io non voglio che ti succeda nulla». Deglutì lentamente e tornò a guardarmi con quella sguardo da cerbiatta, così le abbassai il casco sulla testa, ma prima di inserirlo completamente mi avvicinai e le lasciai un bacio sulla fronte.
Nessun urlo, nessuna lamentela, niente di niente. Partì in silenzio e dopo due minuti sentii le sue braccia stringermi il petto e ogni tanto accarezzarmi dolcemente. Mi sentivo così completo, così tranquillo da cambiare strada per rimanere più tempo con lei, ma se ne accorse subito.
«Dove stiamo andando Riccardo?»
«Facciamo un giretto?» le chiesi, ma in realtà lo stavo affermando.
«Okay ma veloce perché stasera ho un appuntamento» rispose e li un'improvvisa malinconia si impossessò di me e mi costrinse a dirigermi verso il villaggio.
«Allora ti riporto a casa non voglio che tu faccia tardi».
«No ho ancora un paio d'ore, possiamo andare dove vuoi» disse.
«Tranquilla non devi sentirti obbligata, ti porto in hotel. Deciso» dissi e poi rimanemmo in silenzio per tutti il viaggio.

Arrivati al parcheggio scesi velocemente e mi diressi alla reception senza nemmeno salutare Federica. Ero arrabbiato, senza un motivo, ma lo sentivo che ero una furia.
Appoggiai le chiami con violenza alla segretaria dietro al bancone e corsi in camera.
Da giù sentii una voce che ormai conoscevo benissimo chiedere: «Dove è andato?». Così allungai il passo e appena entrai in camera colpii il muro ripetutamente e sempre più forte, fino ad accasciarmi il terrazzo.
«Chiamata in entrata» disse una voce metallica, così mi avvicinai al luogo da dove proveniva il suono e mi accorsi che accanto il comodino c'era un telefono.
Alzai la cornetta con la mano ancora sanguinante e risposi.
«Signor Marcuzzo, la sua cliente Federica ha bisogno di lei adesso. È nella sua stanza».
«Scusi ma adesso sono impegnato»
«Mi dispiace ma deve andare è piuttosto urgente da quello che ho capito». Scattai in piedi impanicato e corsi verso la sua camera.
Bussai e lei venne ad aprirmi tranquillamente.
«Quale sarebbe questa urgenza?» chiesi indignato, non c'era motivo per farmi preoccupare così.
Lei mi guardò negli occhi interrogativa, ma poi abbassò lo sguardo sulle mie mani, precisamente sulle nocche.
«Cosa cazzo hai fatto?» mi chiese con un tono di voce più alto del solito.
«Nulla» risposi dirigendomi verso la porta.
«È per l'appuntamento?». Centrò il problema e anche se non volevo mostrarle il potere che aveva su di me, non risposi e le lasciai intendere che c'era qualcosa di strano in me quando stavo con lei. Qualcosa di intenso.
Si avvicinò e prese le mie mani per condurmi verso il letto e mi fece sedere. Entrò in bagno e poi ricomparì con la cassetta del primo soccorso tra le braccia.
«Cosa devo fare con te» mi chiese mentre passava le sue dite nelle mie ferite. E un improvviso desiderio si accese nel mio corpo; mentre si era girata per prendere altro cotone inizia ad accarezzarle i fianchi, la avvicinai a me e la feci sedere sulle mie gambe.
Mossa sbagliata, qualcosa sotto si stava svegliando, ma non mi fermai. Sfiorai il suo collo con la mia bocca e lei spinse la sua testa all'indietro, segno che le facevo effetto.
Sentii il suo respiro accelerare e il suo cuore battere più veloce del solito.
«Hai visto stai ansimando e io non ti ho nemmeno baciata. Vuoi continuare a mentirmi?». Quando la vidi abbassare lo sguardo volevo mordermi la lingua e rimangiarmi tutto quello che avevo detto. Volevo provocarla, ma forse mi ero spinto un po' troppo oltre.
Avevo due possibilità, la situazione poteva prendere due bivi. O la provocavo, o la baciavo. Avevo scelto il primo, ma mi aspettavo una reazione diversa. Totalmente diversa. E per quello che mi stavano trasmettendo le sensazioni e l'istinto, forse avevo preso la strada sbagliata.
Per qualche secondo rimase in silenzio, poi strepitò «Riccardo esci da questa stanza. Ora!». Le mie gambe non accennavano a muoversi, così lei fu costretta ad urlare nuovamente: «Riccardo, giuro che se non te ne vai immediatamente faccio chiamare la sicurezza».
«Okay me ne vado». Mi spinse fuori dalla sua camera. Mi appoggiai sulla porta per sorreggermi. Una sensazione improvvisa mi portò a pensare che anche Federica si trovava nella mia stessa posizione, ma che importava. La mia mente stava vagando nel nulla.
Perché non l'avevo baciata?
Come avrebbe reagito se l'avessi fatto?
Perché continuiamo a provocarsi e infastidirci?
Perché non riesco a pormi un limite?
Non trovavo le risposte adatte per le domande che mi stavo ponendo, anche perché non riuscivo a spiegarmi nemmeno perché mi stessi chiedendo quelle cose. Era una sensazione fastidiosa, era come perdere il controllo, perderlo ma esserne felici.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 26, 2018 ⏰

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