La Bestia

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VirLiko era sulla strada che conduceva al paese. Camminava incerto, quasi contrastando i suoi stessi passi.
Il suo cervello ferino stava formulando una specie di pensiero dubbioso: "Sto facendo la cosa giusta? " si chiedeva,  mentre procedeva a zig zag tra gli alberi secolari. Sentiva venir meno le proprie forze ma, al tempo stesso, avvertiva una sorta di eccitazione. L'aria aveva un profumo particolare ma non era quello del sottobosco. Si, nell'aria c'era l'odore di foglie secche, del legno umido ma non c'era solo quello. Mentre annusava l'aria cercando tracce, avvertiva una sorta di accrescimento delle narici, dilatate per l'eccitazione, l'eccitazione del profumo della pelle umana... e dei pochi peli presenti sul loro corpo così glabro. Quei peli - come li chiamano? Ah si! Capelli - a cui sembrano tenere molto, soprattutto le femmine umane! Inoltre c'era una specie di nauseante odore, ma quello non gli interessava. Tale era il bombardamento delle sensazioni che non avvertiva più il proprio muso: l'eccitazione era troppo forte e cominciava ad aver paura di se stesso. Poi udì un rumore. Si fermò di scatto, girando la testa verso l'origine dello stesso... Fu allora che vide una scena di selvaggia ferocia: una bestia enorme sovrastava un essere indifeso, coperto di stoffe, un essere umano, probabilmente.
Fermo sulle possenti spire, con le fauci spalancate e le lunghe dita artigliate, si apprestava a sferrare l'attacco mortale. L'essere umano, una giovane donna, guardava quel mostro con terrore e con le forze e i sensi in procinto di abbandonarla. La bestia la guardava beffarda, con un ghigno di trionfo dipinto sul muso malvagio. VirLiko non perse tempo, neppure quel poco che gli poteva occorrere per formulare il più minuscolo pensiero ferino: ringhiando ferocemente si lanciò verso il mostro, dritto alla sua gola, poco al di sotto della cresta pennuta. Riuscì a farsi breccia con i lunghi denti bianchissimi tra le spesse squame del rettile, spezzandone e bucandone alcune... con un guizzo dell'avversario, tuttavia, si ritrovò in aria a coprire una breve parabola, prima di urtare violentemente il tronco di un albero enorme.
Ruzzolò sulle radici della pianta ma si rimise sulle quattro zampe, ringhiando con ferocia. Era furioso.
La bestia pennuta questa volta fissava proprio lui, con gli occhi di un colore verde minaccioso. E avanzava imperterrita, con quelle curiose zampe anteriori, lunghe, sottili e artigliate. Quegli arti potevano non incutere timore nell'avversario ma gli artigli affilati e i loro guizzi nell'aria, si: era una posizione di guardia, con la quale la bestia si preparava a ferire profondamente chiunque fosse entrato nel loro raggio ďazione.
VirLiko ringhiò contro la preda del serpente pennuto che, solo in quel momento, sembrò risvegliarsi dal suo stato ipnotico. La giovane donna corse via terrorizzata. Mentre si girava nuovamente verso l'avversario, VirLiko ebbe appena il tempo di notare un raggio di sole che si faceva strada tra le chiome degli alberi. Fu allora che un bagliore gli offese la vista. L'istinto lo salvò: ruzzolò volutamente a terra, di lato, scongiurando così gli effetti devastanti dell'attacco avversario.
Tra le penne della testa del mostro era infatti spuntata una specie di gemma preziosa e purissima, gemma che non aveva notato prima. Era ben incastonata sopra gli occhi del rettile che, a quanto pare, sapeva usarla come arma di offesa.
Durante l'attacco gli artigli del mostro erano rimasti conficcati nelle possenti radici secolari del tronco: mentre cercava di liberare l'arto, VirLiko lo afferrò con i denti acuminati, lo strinse e lo tranciò quasi di netto, sporcandosi le fauci di sangue freddo e nero... Il rettile emise un terribile sibilo. VirLiko non aspettò per non perdere il vantaggio conquistato e, come un fulmine, strinse le fauci sulla gola del serpente pennuto, fino a ucciderlo.
Il tempo di riprendere fiato e un possente ululato squarciò l'aria della notte appena iniziata. Il profumo dell'umana era ormai una flebile traccia: È al sicuro! pensò e girando su se stesso,  sopra un tappeto di morbide e profumate foglie secche, si lasciò cadere pesantemente a terra e si addormentò.

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