Chapter 5 -Rose

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Devono esistere per forza i sogni?

Per poco non vomito

Benvenuti a Londra!

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Quella notte sognai mio padre. Mi capitava spesso di vederlo spuntare nei miei sogni, e io odiavo sognarlo. Se pensare al proprio padre vuol dire inondarsi di tristezza, non ero disposta a farlo entrare. Ma quella notte fu la peggiore che mi potesse mai capitare.

...Mi rividi bambina, probabilmente sugli otto anni; mi trovavo in un grande prato dalle mille sfumature di verde. Ero distesa su esso, mi godevo il sole, il vento, il cielo azzurrino. Era una giornata soleggiata, ma la cosa che la faceva splendere di più era lo sguardo raggiante del mio papà. Era un uomo alto, dal sorriso gentile e gli occhi celesti. Era disteso accanto a me e mi teneva la mano, che in confronto alla mia manina piccola era enorme. Mi rivolse un sorriso e io ricambiai con uno parecchio sdentato, ma lui lo trovava adorabile. Mi accarezzò delicatamente i capelli costantemente legati in due treccioline che io tanto odiavo. "Sarai sempre la mia principessina, Rosie." mi sussurrò con voce dolce, facendomi il solletico. Io risi con una risata infantile e umile. "Tu sarai sempre il mio papino!" risposi a mia volta, stringendolo in un abbraccio. Poi tutto successe in un momento. Divenne tutto cupo, calò un insensata aria gelida che fece tremare sia me che la mia figura da bambina. Un colpo di pistola. L'aria che fischia. Un corpo. Il buio...

Fu in quel momento che mi svegliai di soprassalto. Presi un colpo, non solo per l'orribile sogno che avevo appena avuto, ma anche per colpa di quell'orrenda palla di pelo -che io dovrei chiamare 'gatto'-, il quale, mi aveva mollato due zampate in pieno viso. Ci teneva davvero tanto ad infastidirmi nei momenti meno opportuni! "Stupido gattaccio inutile!"

Mi misi una mano sul petto e, madida di sudore, mi ricoricai sul morbido materasso della mia camera. Perché doveva essere così terribile ripensare a mio padre? Anzi, la vera domanda è perché lo sognavo. Per un pò gli incubi avevano smesso di tormentarmi durante il sonno, ma quella notte avevano ricominciato mostrandomi qualcosa a cui non avrei fatto a meno di piangere. Non riuscivo a capire il perché fossi così tanto spaventata: solo per la vista di mio padre o perché all'età di otto anni ero inquietante? Forse tutto era dovuto dal fatto che di li a poche ore avrei nuovamente messo piede a Londra, il posto in cui si concentravano tutti i ricordi di una vita che avevo deciso di abbandonare. Non volevo che accadesse, ma sapevo che sarebbe stato così. Non potevo tirarmi indietro, io affronto sempre le mie paure. "Sarai sempre la mia principessina, Rosie." Erano quelle le parole di mio padre nel sogno. Lui sarebbe sempre stato il mio papino, peccato che non fu così. Fa male, tanto male raccontare, per cui vi terrò sulle spine un altro pò.

Sbattei le palpebre e mi guardai intorno. La mia camera da letto era una completa desolazione senza le mie fotografie, le luci e tutti i miei altri effetti personali. Non sembrava più esplosa una bomba atomica: niente Pop Corn seminati per la stanza, vestiti e niente tavolozze dipinte da me. Probabilmente quella stanza mi sarebbe mancata moltissimo perché li erano incisi i ricordi con i miei migliori amici. Avrei avuto la mancanza delle serate passare a fare il Karaoke con Thomas Grier, mentre Isabelle ci filmava. Che cosa imbarazzante! Ma sono proprio quei momenti che rimangono per sempre.

Mentre rimuginavo, la mia attenzione si spostò su Grattastinchi, il quale stava tentando di risalire sul mio letto senza farsi vedere. Ma io lo afferrai e lo stritolai tra le mie braccia. "Ah, ti odio da morire. Lo sai, ammasso di pulci?" Strofinai la mano sulla testolina dell'animale, anche se non sembrava gradire molto le mie coccole, infatti mi graffiò con gli artigli. "Ahia! Io ti dono il mio affetto, e tu che fai? Mi ferisci? Ma muori arrostito, brutto animale spelacchiato!" Proprio in quel momento qualcuno busso alla porta.

EUPHORIA -scoroseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora