Casa dolce casa
POSTAA!
Un tizio si presenta a casa mia
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Io e mia madre ci ritrovammo nuovamente in strada, una volta scese dal Nottetempo. Fu un viaggio a dir poco spericolato e movimentato, invidio chiunque riesca a sopportare un viaggio del genere. Intorno a me l'aria umida mi si attaccava alla pelle facendomi rabbrividire. Mia madre mi aveva detto che non avrei dovuto vestirmi così leggera, ma io non le avevo dato ascolto, come sempre. Tra l'altro i capelli bagnati non miglioravano di certo la situazione. Avrei preferito rimanere sul Nottetempo, almeno lì spirava un'aria tiepida e poi avrei gradito molto avere ancora la compagnia del bigliettaio, lo strano tipo con gli occhiali rossi, Michael. Mi sarei fatta quattro risate con lui e avrei cercato di dormire, ma ovviamente i progetti di mamma erano ben altri.
La donna aveva rifatto comparire l'ombrello fatto di aria e camminava con passo veloce e lesto. Io la seguivo, in parte fuori e in parte sotto l'ombrello, perché tanto, bagnata com'ero, inzupparmi ancora un pò certamente non guastava. Mi trascinavo dietro la mia valigia nera, talmente tanto piena da darmi l'impressione che stesse per esplodere da un momento all'altro. Mamma vedendomi in difficoltà, agitò la bacchetta, e fece un'incantesimo alla valigia in modo che levitasse. Non sapevo che cosa vedessero i babbani alla vista di quel grosso bagaglio volante. Magari un grosso bue? Una giraffa? Io non lo sapevo, ma era più tosto divertente vedere che i babbani sembravano non accorgersi di nulla, a parte qualche bambino che, con sguardo incredulo, spalancava gli occhi e chiamava uno dei suoi genitori i quali non gli davano retta.
Non sapevo che ore fossero, non era mia solito portare un'orologio al polso e ovviamente avevo il cellulare completamente scarico sepolto nello zaino. Stavo per chiederlo a mia madre, almeno avremmo avuto qualcosa di cui parlare, quando lei finalmente aprì bocca. "Alla nostra destra c'è la stazione di King's Cross, per cui dall'altro lato deve esserci una via nella quale si trova una biblioteca e delle villette." disse, guardandosi intorno con sguardo corrucciato.
Non mi sorpresi per nulla quando nominò la parola 'biblioteca'. Probabilmente non aveva scelto quel luogo per quel motivo, ma sapevo che ne avrebbe fatto buon uso. Mia madre viveva di libri, ne aveva sempre uno a portata di mano e raramente c'era giorno in cui non ne avesse letto neppure una metà. Io...bé, fondamentalmente non avevo preso da lei. Non trovavo i libri inutili, perché anch'io li leggevo, ma in confronto a lei preferivo rivolgere lo sguardo in alto, su nel cielo e inventarmi storie esistenti solo nella mia testa; preferivo la compagnia di persone reali, concrete, che mi facessero sorridere e ridere stando accanto a me. Amavo la musica e dipingere, e lo smalto nero sulle mie dita era la prova della mia creatività; quello che volevo era disegnarmi da sola la mia vita. A quel punto pensai a Isabelle e a Thomas; forse li avrei rivisti, forse no ma avrei sicuramente escogitato un modo per svignarmela da loro.
Ci ritrovammo in una lunga strada asfaltata in grigio, completamente deserta e la schiera di villette era contornata all'orizzonte da luci sfumate. Il cielo era del colore delle arance e ciò mi fece ricordare il colore caldo dei miei capelli, i quali non erano certo uno splendore, ma alla gente suscitavano allegria. Mamma finalmente si fermò e, facendo scomparire l'ombrello magico, mi indicò con il dito una delle graziose villette ambrate. "Ecco, quella è la nostra nuova casa." esclamò con un sorrisetto. "Spero ti piacciano gli interni."
Sinceramente mi aspettavo una modesta casetta in stile 'vita vissuta e distrutta dalle intemperie'. Ma ciò che avevo davanti era qualcosa di a dir poco magnifico, o almeno secondo i miei gusti. Partiamo dal presupposto che quella casa era decisamente più grande dell'appartamento che avevamo a New York: un bel giardino decorato da piccoli fiori, un portico, nessun'altra casa attaccata alla nostra e nessunissima vecchia vicina a scassare le palle. Arrivammo all'entrata, fermandoci davanti a un portone in legno scuro, e osservai mia madre impegnata ad estrarre qualcosa dalla borsetta a perline. Si avvicinò all'uscio e infilò una piccola chiave nella serratura che si aprì con un clic. Dall'interno una strana aria calda mi investì, riscaldandomi la pelle. Mia madre si imbucò all'interno e posò la sua valigia sul pavimento che a prima occhiata sembrava in legno. Accese la luce e subito tutto il piano terra fu illuminato da delle lampadine elettriche.
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EUPHORIA -scorose
Fiksi PenggemarDal momento in cui realizzai che Cupido aveva tutta l'intenzione di rifilarmi una delle sue stupidissime freccette nel didietro, mi sentii in dovere di prendere un lanciafiamme e scagliarglielo contro facendo un bell'arrosto di angioletto indemoniat...