2.

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Achille ricordava bene come conobbe Patroclo.
Suo padre l'aveva mandato a soli sette anni e mezzo sul monte Pelio, dal centauro Chirone, per far sì che venisse istruito a dovere alla vita guerriera.
Il giorno del suo arrivo, Chirone lo accolse, gli mostrò la stanza spoglia dove avrebbe dormito e gli diede le informazioni strettamente necessarie sulla vita che avrebbe condotto.
Non lo trattò come un principe, come il figlio di una dea, ma come un qualunque ragazzo: Achille inizialmente ne fu infastidito.
Quella sera, dopo un pasto frugale che consistette in pane e formaggio di capra, Achille si recò nella sua stanzetta rovente.
La rozza paglia con cui era fatto il suo giaciglio gli pungeva la schiena; inoltre il caldo gli imperlava il corpo sottile di sudore.
Achille era sempre più contrariato.
Bevve tutta l'acqua che riempiva la piccola brocca trovata su uno sgabellino, e ciò che ottenne fu solo di sentire ancora più caldo.
Rimpianse Ftia, e tutte le sue comodità.
Se fosse stato lì, avrebbe mangiato un tenero maialino da latte arrosto per cena, accompagnato da verdure grigliate.
Dopo i suoi servi personali gli avrebbero fatto un bagno nell'acqua fredda per togliergli il sudore da dosso, e, una volta disteso sul suo materasso di lana la sua balia gli avrebbe raccontato fiaba per farlo addormentare mentre gli carezzava dolcemente i boccoli dorati.
Immerso in questi pensieri, non si accorse del rumore di passi che si avvicinavano alla cameretta.
"Ehi, c'è nessuno?" chiese una voce dall'ombra.
Achille trasalì. Pensò a come lo avessero istruito a dire in caso di una presentazione.
"Io... io sono Achille, figlio di... di Peleo e di Teti" balbettò.
La cosa a cui apparteneva la voce fece un passo avanti, entrando nel cono di luce proiettato dalla luna piena attraverso la finestra, e Achille poté vederlo chiaramente.
Era un ragazzino circa della sua età, forse giusto un poco più grande. Aveva la pelle olivastra, e due occhi che alla luce gli parvero verde scuro. I suoi riccioli scuri erano tagliati piuttosto corti. Achille, guardando il suo fisico già indistinguibilmente mascolino, provò imbarazzo per il suo aspetto così effeminato.
"Così tu sei quello nuovo!" esclamò lo sconosciuto.
Poi lo squadrò dalla testa ai piedi.
"Scusami," aggiunse, "non conosco Teti, nè tantomeno Peleo, ma immagino che debbano essere persone importanti, se le hai citate. Comunque, io sono Patroclo".
Patroclo tese la mano verso di lui. Achille si alzò in piedi, e la strinse con vigore.
"Bella stretta!" esclamò Patroclo. "Quindi ce li hai da qualche parte i muscoli, eh?"
Achille sorrise. Quel bambino era così estroverso che lo aveva immediatamente messo a suo agio.
"Da dove vieni, Patroclo?" gli chiese.
Il ragazzino gli fece un sorriso a trentadue denti.
"Fantastico! Oh, sono così felice!" esclamò. "Vedi, la gente sbaglia sempre a dire il mio nome" spiegò lui. "A quanto pare è un po' complicato da pronunciare. Mi chiamano "Patocro", "Patloco" e via dicendo. Lo trovo così irritante!"
Achille scoppiò a ridere. "Anche io mi arrabbierei se mi chiamassero "
'Alicche', o qualcosa del genere" gli disse, ridendo.
"Ma no, io non mi arrabbio, è solo un po'..." Patroclo si interruppe. "Ma io non ho risposto alla tua domanda!" ricordò.
Patroclo fece un respiro profondo, e...
"Mi chiamo Patroclo, e i miei genitori sono Menezio e Stenele. Sono nato ad Opunte, ma me ne sono dovuto andare da lì per... vari problemi da adulti". Il bambino si rabbuiò. "Amo stare qui, ma mi manca molto mia madre. Anche mio padre, alla fine... e Pancaspe... il mio cucciolo. Anche Eurinome... sapeva delle fiabe così belle...". A quelle parole, gli occhi di Patroclo si riempirono di lacrime.
Achille, vedendo il dolore del bambino, si sentì in colpa, perché tutto ciò che rimpiangeva di casa sua erano le comodità e i lussi.
"Ehi, Patroclo" disse, per distrarlo. "Ti dirò un segreto. La mia mamma è una dea" gli confidò. Patroclo rimase a bocca aperta.
"Però l'ho vista solo una manciata di volte" continuò Achille. "Lei mi viene a trovare due o tre volte l'anno. Mi porta un regalo, stiamo un po' insieme, e poi se ne va''
Patroclo lo guardava con tanto d'occhi. Aveva smesso di piangere.
"E... non senti la mancanza di tua madre?" gli chiese.
Achille fece spallucce. "Quasi non la conosco" rispose.
Patroclo si asciugò le ultime tracce di bagnato dalle guance e sorrise.
"Basta con queste cose tristi!" esclamò. "Ti porto in un posto"
Patroclo afferrò la mano dell'amico, e lo trascinò lungo il corridoio buio.
Erano quasi arrivati all'uscita della dimora. I due si fermarono un attimo a riprendere fiato.
Ansimanti, si guardarono, e scoppiarono a ridere.
"Voi due, cosa state facendo?!" sibilò una voce dietro di loro.
La risata si interruppe bruscamente. Chirone, in tutta la sua altezza, incombeva dietro di loro.
"Sapete bene che non dovete assolutamente lasciare le vostre stanze durante la notte, soprattutto tu, Patroclo, dovresti averlo imparato, ormai" disse, minaccioso. "È così che dai il buon esempio al nuovo arrivato? Vergognati!"
Patroclo abbassò lo sguardo, imbarazzato.
Achille si parò davanti all'amico a mò di scudo.
"Non è vero! È stata una mia idea! Lui non ha colpa!" urlò.
I penetranti occhi marroni di Chirone si fissarono su di lui. Nessuno dei due bambini riuscì a carpire lo scintillio divertito che lampeggiò per un secondo nello sguardo del centauro.
"Allora, piccolo Pelide," ringhiò, "sarai tu ad essere punito. Domani ti alzerai prima del sorgere del sole e pulirai a fondo le stalle"
Achille si sentì montare dentro una furia incontenibile.
"Non provarci, o la furia di mia madre di abbatterà su di te, vecchio!" strillò, con la voce di un'ottava più alta del normale.
Il volto di Chirone divenne di pietra. Il suo corpo di cavallo ebbe un fremito.
Il centauro si avvicinò al bambino. Era così vicino che Achille riusciva a percepire il calore del suo fiato.
"Piccolo moccioso arrogante!" sibilò, la rabbia a stento contenuta. "Qui, per me, sei un normale ragazzino. Non mi importa di chi sia tuo padre, o tua madre. I tuoi genitori potrebbero essere Zeus ed Era in persona, ed il mio atteggiamento nei tuoi confronti non cambierebbe di un baffo"
Chirone fece un respiro profondo. "Non ti aspettare trattamenti speciali per la tua discendenza. Inoltre..."
"Sì, ho afferrato il concetto, grazie" lo interruppe Achille, freddo.
Il centauro lo fissò per lunghi secondi.
"Molto bene" disse poi, lentamente. "Ora tornate nelle vostre camere, e non voglio più sentirvi prima di domani"
I due bambini si incamminarono verso le loro rispettive stanze.
Ad un tratto Achille si fermò, e si girò di scatto. "Domani quelle saranno le stalle più pulite della Grecia!" urlò, rivolto a Chirone.
Il centauro sorrise, senza girarsi a guardare il bambino. "Non ne dubito" rispose, piano.

Patroclo era rimasto in silenzio per tutto il tempo. Achille iniziò a sospettare che fosse arrabbiato.
Arrivato davanti alla sua stanzetta, il bambino di rivolse all'amico.
"Ci vediamo domani?" chiese, timidamente.
Sul viso di Patroclo si aprì un enorme sorriso. "Sì!" esclamò.
I suoi occhi... ora sono marroni, notò con sorpresa Achille.

~
Achille tornò al presente, smettendo di raccontare.
Ulisse lo guardò: stava sorridendo. Ma era un sorriso nostalgico, senza alcuna traccia di gioia.
Il semidio afferrò l'otre e bevve un lungo sorso di vino. Una goccia che gli colò sulla guancia fu asciugata distrattamente con il dorso della mano.
"Sei pronto a ricominciare?" gli chiese Ulisse. Achille esitò a rispondere, così aggiunse: "Ovviamente, non se non vuoi, non devi sforzarti..."
Achille scosse la testa. "Solo perché mi hai visto piangere, ora non hai più neanche uno straccio di fiducia verso di me?!" ringhiò.
Non aspettò la risposta di Ulisse: solo, si immerse nuovamente nei suoi ricordi...

Audaces Fortuna IuvatDove le storie prendono vita. Scoprilo ora