Capitolo 20: Specchi, hamburger, e tre spiriti maligni al prezzo di uno

79 10 0
                                    

Fui svegliata delicatamente da un caldo raggio di sole che scivolava sul mio viso.
Strinsi gli occhi e spostai la testa in modo che i capelli mi ricadessero sul volto per proteggermi dalla luce.
Avete presente quei momenti di dormiveglia, la domenica mattina, quando volete soltanto rimanere a dormire cullati dal dolce abbraccio del sonno?
Ecco, appunto.
Io propio non avevo voglia di alzarmi.
Stavo troppo bene.
Ero sdraiata sul materasso più morbido e comodo del mondo, la mia testa sprofondava al punto giusto nel soffice cuscino e il lenzuolo leggero mi copriva interamente come per abbracciarmi.
Ero praticamente in paradiso!

Sapevo benissimo di essere nel letto di qualcun'altro. Per quanto potevo saperne ero stata rapita e ora giacevo inerme nella stanza degli ospiti di qualche mostro malvagio. Ma anche in quel caso non poteva importarmene di meno.
Ero solo... stanca, ecco. Per un po' non volevo non dover pensare a niente.
Purtroppo però, per quanto mi sforzassi, ormai ero sveglia e poco a poco il mio cervello cominciò ad attivarsi e a ricostruire piano piano gli eventi delle ultime ore.
"Non ci provare" pensai.
Inutile.
Sospirai voltandomi a pancia in su e ripensando ai miei sette nuovi amici e al nostro primo turbolento incontro.
Subito una sensazione di malessere si diffuse nel mio stomaco, qualcosa di simile all'angoscia prima di una verifica.
Sospirai.
Se stare male era il prezzo da pagare per rimanere a letto, allora tanto valeva alzarsi e affrontare tutto direttamente.

Mi alzai a sedere di scatto e mi stropicciai gli occhi. L'unica fonte di luce era un oblò semichiuso du una tendina, sulla parete alle mie spalle, segno che mi trovavo ancora sull'Argo II.
Una volta abituata alla luce, scoprii di trovarmi in una piccola camera da letto.
Pochi mobili erano addossata alle pareti: il letto su cui ero seduta, una scrivania bianca e un'armadio a muro con le ante chiuse. Gli oggetti personali erano pochissimi. Sulla scrivania erano posati un computer portatile con una lettera delta sopra, una pila di libri, un diario con una penna infilata tra le pagine e la foto di un uomo dai capelli buoni su un biplano, mentre appesi a due ganci del muro c'erano un berretto da baseball dei New York Yankees e il foulard nero con le lettere greche.
Non fu difficile dedurre che la proprietaria della camera era Annabeth.

Sostai le coperte e lasciai penzolare le gambe sul bordo del letto.
Ero vestita esattamente come ero arrivata a bordo della nave. Un paio di vecchi pantaloncini di jeans e una maglietta bianca con un disegno stampato di Snoopy e Charlie Brown che fanno la danza della felicità. Qualcuno mi aveva tolto le scarpe e le aveva appoggiate vicino alla scrivania.
Mi alzai in piedi stiracchiandomi. Mi diressi verso il mio zaino, accanto all'armadio, quando notai un movimento con la coda dell'occhio. Mi voltai di scatto e trasalii quando mi trovai davanti la ragazza dai capelli più arruffati che avessi mai visto. Il mio primo pensiero fu che non avevo voglia di sostenere una qualsiasi conversazione, poi però mi resi conto che la ragazza era vestita esattamente come me.
Sgranai gli occhi inorridita.
Mi trovavo davanti ad uno specchio a figura intera.
Non avevo riconosciuto il mio stesso riflesso!
Oh insomma provate voi a riconoscervi dopo essere stati intrappolati in un albero per ben dieci mesi!
Mi avvicinai di più osservando il mio volto e mi passai le dita sulla pelle, quasi per cercare di riconoscermi. Era strano rivedersi dopo così tanto tempo.
Ok, forse non ero cambiata poi così tanto. I lineamenti del mio viso sembravano essersi messi d'accordo per stabilizzarsi in una forma precisa: gli zigomi erano più appuntiti, gli occhi meno grandi, le labbra nè troppo sottoli nè troppo carnose.
Ero sempre io, si, solo che sembravo più adulta...
Ad avermi fatto prender un colpo, però, non era stato tanto il mio viso, quanto i miei capelli! Avevo sempre fatto una gran fatica a pettinarli perché nonostante fossero lisci continuavano ad attorcigliarsi come serpenti. Ero abituata ai nodi, ma non così!
In quel momento mi ricadevano lungo le spalle in due fasci gonfi e crespi come vecchie tende riempite con minuscoli gomitoli intricati. In parole povere avevo una pettinatuta piu brutta di quella di Asudem.
Cercai di pettinarli facendo passare le ciocche tra le dita ma si incastrarono a neanche cinque centimetri dalla testa. Tolsi la mano scoprendo che ci si era attaccata anche una foglia ormai secca.
Un pensiero terrificante si fece largo nella mia mente: quindi gli altri mi avevano visto così per tutto il tempo e io non me n'ero accorta?! Oh miei dei! Chissà cosa avrà pensato Leo... cioè, sì, insomma, cosa avranno pensato tutti!
Sconsolata, sostai da una spalla una ciocca talmente cosparsa di doppie punte che sembrava fatta di lucine a led, e l'occhio mi cadde su due rigonfiamenti proprio sul petto...
"Oh...Wow... questa è nuova"
Mi era cresciuto il seno.
Beh ecco, cresciuto era una parola grossa, diciamo che da una mezza prima, ero arrivata a quella che, ad essere generosi, poteva essere definita una seconda. Ehi, era comunque un traguardo.
Mi ricordai di quanto alle medie, nello spogliatoio della palestra le mie compagne di classe si vantassero dei loro reggiseni firmati scambiandosi falsissimi complimenti.
"Oh, no. Le mie sono troppo piccole " "Ma no, tesoro, sei stupenda! Guarda le mie invece..."
E in tutto questo loro avevano misure assolutamente nella norma. Poi c'ero io, piatta come una tavola, che le guardavo come a dire "Ma mi avete visto bene? Che avete da lamentarvi?!"
In realtà, non mi importava poi granché dell'aspetto fisico, anzi. Era il fatto che loro ci dessero così tanto peso che mi faceva pensare che fosse importante.
Mia madre (non Artemide, quella adottiva) una volta mi aveva detto che mi sarei sviluppata lentamente, ma che prima o poi avrei fatto uno scatto di crescita. Non dovevo fare altro che aspettare.
Osservai il mio corpo girando su me stessa. Avevo i fianchi e probabilmente ero anche cresciuta di un paio di centimetri.
Sospirai.
Forse fuori ero anche cresciuta ma dentro mi sentivo ancora una bambina.

Eroi dell'Olimpo: I Miti SegretiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora