Chapter twenty-two

1.9K 112 38
                                    

Bryan, Sephora e Emma erano ufficialmente al serale.
Mancavano solo due ad esibirsi: Zic ed io.

«Adesso è il turno di...» Maria osservò per un attimo la busta che teneva in mano «... Tocca a Zic».
Perfetto, sei l'ultima, Lucy.
Il ragazzo si esibì cantando un suo inedito, Capodanno.
Subito dopo ci fu il giudizio da parte dei professori: ottenne solo due .

Che ansia. Ma perchè dovevo essere io l'ultima? Se fossi stata anche solo una di quelli a metà ad esibirsi, almeno me la sarei tolta di dosso. Invece no. Adesso che tutti si sono esibiti, sarebbero tutti stati attenti alle esibizioni dopo di loro, quindi tutti avrebbero visto me. Che ansia, Dio.

Prova a fare come Irama.
Devo fumarmi una sigaretta nello studio?
Ma no. Cerca di emozionare. Anzi, non cercare. Emoziona proprio.

«Ora, l'ultima a rimanere sei tu, Lucy»
Dopo che la voce di Maria mi svegliò dai miei pensieri, mi alzai dal banco, dirigendomi verso il centro dello studio e inserendo il mio microfono sulla punta dell'asta.
«Canto Ti ho voluto bene veramente» dissi. Quella canzone era una delle mie preferite in assoluto. Era bella, così bella, mi emozionava, mi colpiva ogni volta che la sentivo o che la cantavo.Lasciati trasportare dalla musica e dalle parole, e poi riuscirai ad emozionare.

«Base» disse Maria, dopo che i professori fecero un accenno come per dire che potevo partire.

«Trascorsi giorni interi senza dire una parola
Credevo che fossi davvero lontano
Sapessimo prima di quando partiamo
Che il senso del viaggio é la meta e il richiamo
Perché ti voglio bene veramente
E non esiste un luogo dove non mi torni in mente
Avrei voluto averti veramente
E non sentirmi dire che non posso farci niente
Avrei trovato molte piú risposte
Se avessi chiesto a te
Ma non fa niente
Non posso farlo ora
Che sei cosí lontano»

Maria invitò i professori di canto a dire il loro parere e ad esprimere il loro voto subito dopo la mia esibizione.
Il primo a parlare – come sempre – fu Rudi Zerbi: «Io la sostengo sin dall'inizio, e non smetterò mai di dirlo: tu meriti il serale» scandì bene le ultime parole, gesticolando con le mani. Disse poco, ma fu molto deciso.

«Io penso che tutte le volte che canti, mostri una sfumatura diversa di te stessa. Questa cosa mi piace molto, rimane sempre la tua identità, ma ne scopri sempre, andando avanti, i molteplici colori, che tu hai dentro. Io penso che con questo tuo pregio farai molta strada, quindi dico sì» disse Giusy. Il pubblico esultò e io la ringraziai sorridendo.

Accanto a lei, sedeva il professor Di Francesco: questo teneva le braccia incrociate e sedeva in modo scomposto sulla sedia. Quando si accorse che l'attenzione era rivolta a lui, questo fece cenno di no con la testa.
«Possiamo sapere perchè?» chiese Maria, per rompere il silenzio che lui aveva causato. Carlo si drizzò sulla sedia, prendendo una penna dalla scrivania e iniziando a giocarci: «Sai, anch'io, come Rudi, ho sempre mantenuto la stessa opinione sin da quando sei qui dentro: non mi arriva niente». Ci fu un no di disapprovazione da parte del pubblico. «La tua voce non è riconoscibile tra mille, è come se l'avessi già sentita da qualche parte e a me non serve una voce già sentita e ascoltata. Voglio novità, voglio una boccata d'aria, non sempre le solite cantanti con la stessa voce» terminò pesantemente e con determinazione ciò che aveva detto.
Io accennai un con la testa, come per dire va bene. Il pubblico continuò a protestare su ciò che aveva detto, mentre Rudi scuoteva la testa, anche lui con disapprovazione, ma senza replicare nulla verbalmente.

Fu poi il turno di Paola Turci: «Sai cosa penso io, Carlo?» lei prese la sua penna e iniziò a indicarmi, guardando il professore accanto a lei: «Penso che tu, non sappia riconoscere la vera voce, la vera musica, la vera bellezza di ciò che tu giudichi» disse lei. Il pubblico esultò, gridando e applaudendo.
«Mi dispiace deluderti, ma io sono abbastanza sicuro che so riconoscere e apprezzare ciò che giudico, ossia la musica» replicò lui.
«E allora mi spieghi come fai a non riconoscere tanta delicatezza, ma tanta forza e emozione in una sola voce?» chiese retoricamente la professoressa Turci, posando la penna sula tavolo. «Per me è un sì. Io adoro e, anzi, non vedo mai l'ora di sentirti cantare. La tua voce, così leggera ma allo stesso tempo così forte, così potente, come se ti volessi sfogare ogni volta che canti, come se ti volessi liberare di tutto e mostrarti per ciò che sei davvero».
Io sorrisi, grata per ciò che aveva appena detto.
Lei si che mi ha capita. È proprio così tutte le volte che canto, tutte le volte io mi sfogo. Ma ciò non riuscii a dirlo, a causa della mia solita stupida timidezza e soggezione nei confronti di loro, più forti di me.
Ma Paola non ti farebbe mica del male, insomma, senti cosa ha appena detto.
Si ma... c'è sempre di Francesco, che mi guarda con quel suo sguardo così glaciale e distaccato. Anche se prima o poi dovrò iniziare a dire ciò che penso, e non solo "grazie" o accenni di consenso.

Cosa resterà - IramaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora