Chapter fifteen

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Il sole era particolarmente caldo quel giorno. A volte, durante i giorni di febbraio, poteva sbucare fuori dalle nuvole, ma emanare poco calore. Era davvero un brutta sensazione, c'era il luminoso colore del sole, ma il caldo era assente. Metteva un certa tristezza. Ma, invece, quel giorno il sole era davvero particolare. Irama ci ha propio azzeccato col meteo.

Ci trovavamo sopra l'erba soffice, sdraiati l'uno accanto all'altra. Filippo mi cingeva con un braccio, mentre dormiva intensamente – quelle poche volte che si svegliava la mattina presto, finiva sempre con l'addormentarsi appena tornavamo la sera in hotel, oppure si faceva direttamente il pisolino in sala relax. Era davvero carino quando dormiva, metteva molta tenerezza: teneva la bocca leggermente aperta – e sì, a volte russava la notte – e il petto gli si alzava con regolarità.

Mentre il sole ci asciugava i vestiti e i capelli, sentivo che quel giorno stavo vivendo uno momento davvero mozzafiato: Irama che dormiva spensierato, la tranquillità di quel luogo, il rumore della cascata, e qualche uccellino che cinguettava. La pace.

Posai una mano sulla guancia di Irama. Aveva un viso così perfetto, così bello, che tutte le volte che lo guardavo non pensavo altro a quanto fosse bello. Bello.
Avvicinandomi al suo viso, gli lasciai un bacio sul naso. Poi vidi la mano del ragazzo spostarsi sulla mia coscia. Ma quindi non stava dormendo. Filippo, senza aprire gli occhi, si girò in costa e mi abbracciò, tenendo le sue mani grandi e protettive sulla mia schiena. Io sorrisi, spostando la mia mano dal suo viso al collo, accarezzandoglielo. I nostri visi si trovavano davvero vicini, tanto da sentire il suo respiro. Gli lascai un bacio sulle labbra. Era una sensazione bellissima sentirselo così vicino. In quel momento, avrei voluto stare lì, tra le sue braccia, per sempre.
Chiusi gli occhi, per godermi di più la vicinanza dei nostri corpi. Una strana sensazione si fece spazio dentro di me. Volevo che i nostri corpi fossero ancora più vicini e che non ci fossero degli indumenti ad oltraggiarli.

Poco dopo, il ragazzo si addormentò per davvero. Infatti, rimanemmo così per circa un'oretta. Io non riuscii ad addormentarmi, quando andavo in giro era difficile che potesse succedere. Mi addormentavo – quando non era sera, ovviamente – solo quando ero davvero stanca, che praticamente non riuscivo più a stare in piedi.

In tutto quell'arco di tempo, pensai. Irama era lì con me, ma il fatto che stesse dormendo, mi faceva sentire un po' sola. C'eravamo, quindi, solo io e i miei pensieri. Ero seriamente sdraiata su un prato con Irama? Due anni fa l'avevo visto su un palco – quello del Coca Cola Summer Festival – e chi l'avrebbe mai detto che mi sarei ritrovata tra le sue braccia? Era davvero una strana sensazione. Metteva una certa nostalgia. Io in quell'anno ero una ragazza come tante, osservava davanti a un televisore delle persone che avrebbe voluto essere. E lo sono per davvero adesso? Certo, avevo ancora tanta strada davanti, ma chissà se un giorno sarei mai salita anch'io su quel palco. E magari insieme a Filippo. Sulle mie labbra si stampò un sorriso. Cantare insieme a lui su un palco, con il pubblico che esulta, urla, canta a squarciagola le nostre canzoni. Sarebbe un sogno. Avrei messo tutta me stessa per raggiungere questo obbiettivo. Essere qui ad Amici era già un grandissimo traguardo, una vittoria.

Ad un certo punto notai che il ragazzo iniziò a muoversi leggermente. Si sta svegliando.
«Buon giorno, piumato»
«'Giorno» disse, stringendo di più il mio corpo con le sue braccia, diminuendo quindi la distanza tra i nostri corpi. «Che ore sono?» chiese.
«Circa le due. Io sto morendo di fame, non abbiamo fatto nemmeno colazione!» Esclamai.«In più, tu non sei quello che mangia sempre?»
Il ragazzo rise: «Sto morendo anch'io di fame» ripose.
«Su, allora andiamo in cerca di un bar» dissi alzandomi e allungando la mano verso di lui, per incitarlo ad alzarsi.
Il ragazzo la prese, ma, senza che me l'aspettassi, mi buttò sopra il suo corpo, abbracciandomi.
Alzai gli occhi al cielo:«Dobbiamo andare» dissi, facendo una smorfia.
Filippo non rispose nulla, rimase lì, fermo, io sopra il suo corpo, mentre cingeva il mio con le mani, mentre sorrideva.
Poi mi baciò il naso. «Ora possiamo andare»

Cosa resterà - IramaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora