Capitolo 7 ( Jason )

57 9 3
                                    

Mi sveglio tutta sudata e guardo la sveglia sul mio comodino; le cinque e tredici del mattino. Fuori è ancora notte. Stavo facendo un sogno strano, non ricordo bene cosa fosse, ricordo solo che ovunque mi girassi vedevo degli occhi verdi. Spazientita dall'assurdità di questo sogno decido di alzarmi e fare una doccia. L'aereo di Jason atterrerà tra meno di 4 ore, quindi ho tutto il tempo per prepararmi e sistemare la casa. Vivo in un appartamento di 70 mq con due stanze, due bagni, una cucina e un salotto. Vivo da sola, quindi in teoria, non dovrebbe esserci molto disordine; purtroppo non è cosi. In camera mia sembra essere esplosa una bomba. I vestiti sono buttati in tutti gli angoli della camera. L'armadio risulta vuoto, fatta eccezione  per qualche completo da lavoro  rigorosamente attaccato alla stampella; la camera degli ospiti invece è piena di scarpe. Se vi aspettavate una cabina armadio stile sex and the city vi sbagliavate di grosso: le scarpe (la maggior parte delle quali da ginnastica) sono disseminate per tutto il pavimento, e alcune anche sul letto dove tra non molto dormirà Jason. Cucina e sala invece sono abbastanza in ordine. Tutto merito della lavastoviglie e dell'aspirapolvere, senza di loro sarei persa.

Quando abitavo in California, Consuelo, la donna delle pulizie, ci faceva trovare sempre tutto in ordine e immacolato. Dopo l'episodio di mio padre siamo stati costretti a mandarla via e a rimboccarci le maniche. Ricordo ancora la prima volta che feci una lavatrice; misi la mia camicia rossa con le camicie bianche di mio fratello. Nel mio cervello era tutto perfetto: camicie con camicie, jeans con jeans e via dicendo  senza pensare ai vari colori. Quando ebbe finito aprii l'oblo, e notai inorridita che tutte le camicie di Jason erano diventate rosa confetto. All'epoca scoppio un gran casino tra me e lui per questo motivo, eravamo tutti molto agitati e nervosi per nostro padre, quindi ad ogni minima difficoltà o problma tendevamo ad urlarci addosso. A ripensarci ora invece, mi si forma un sorriso divertito sulle labbra. Jason in quel periodo, e tutt'ora, si è rivelato una grossa spalla alla quale sorreggersi; in quel periodo aveva appena finito il liceo e si accingeva ad iniziare il college. Dopo l'arresto di nostro padre tutte le nostre finanze furono congelate perchè erano in corso svariate indagini per evasione e falso in bilancio. Io avevo terminato l'università e mi accingevo a sostenere gli esami da procuratore, quindi aiutavo come potevo. Mia madre era impegnata tra avvocati e tribunali, faceva di tutto pur di far scagionare nostro padre, così fu Jason a prendere in mano le redini della famiglia; fu costretto a mollare tutti i suoi sogni e a trovare un lavoro per aiutarci economicamente. Non si è mai lamentato di questa sua scelta, anzi si dice contento, ma ogni tanto, nella sua voce, sento una vena di amarezza e rimpianto per aver dovuto rinunciare alla sua borsa di studio con il football. Era veramente bravo, e sarebbe potuto diventare un grande giocatore, se solo fosse andato tutto come previsto.

Distolgo rapidamente il pensiero da quei ricordi dolorosi e mi guardo intorno; ho sistemato tutte le scarpe nell'armadio, cambiato le lenzuola al letto di Jason e pulito il bagno degli ospiti. Sono abbastanza soddisfatta dei miei progressi come casalinga. Guardo l'orologio... Le otto e trentacinque. Ho ancora un ora per fare una doccia e rendermi presentabile.
Alle dieci sento suonare al citofono: finalmente é arrivato, non sto più nella pelle, sono due mesi che non vedo quella sua faccia da schiaffi. Scendo tre rampe di scale e lo vedo attraverso la porta a vetri del palazzo. É girato di spalle, quindi mi prendo un attimo per osservarlo: ha una giacca di pelle marrone su un cardigan blu. Porta un paio di jeans scoloriti, e ai piedi dei mocassini dello stesso colore del giubbotto. Mi ritrovo a constatare che è diventato veramente un uomo. Ci portiamo 4 anni di differenza, ma sembra molto più grande e maturo di me. Negli ultimi anni è cresciuto parecchio in statura, ora è alto quasi un metro e novanta, e ha messo su un bel pò di muscoli. I capelli sono più lunghi dell'ultima volta, gli arrivano quasi alle spalle, e alla luce del sole sono di un marrone quasi ramato. Assomiglia molto a nostra madre da questo punto di vista; lei anche ha lunghi capelli ramati, io invece li ho neri come mio padre. Mi prendo ancora qualche minuto per osservarlo; Nel mio cuore lui é ancora il piccolo jojo dispettoso, che mi tirava i capelli quando non volevo fargli vedere la TV.
Esco come un fulmine dalla porta, Jason non fa in tempo a girarsi che gli salto addosso. < Ehi ma quanto pesi sei diventata una balena> mi stacco da lui e gli mollo un ceffone dietro il collo. < Noto che sei sempre molto gentile> lui si massaggia il collo e scoppia a ridere. < Cara sorella dico solo la verità > gli mollo un altra sberla, ma quest'ultima  viene intercettata prontamente dalla sua mano, bloccandomi. Ci avviamo verso un bar a fare colazione. Per tutto il tempo, mentre siamo seduti ad ingozzarci di dolci e caffé, Jason mi racconta del suo lavoro, della sua promozione e della nuova ragazza con la quale sta uscendo da due mesi a questa parte. < Ahhhhh una ragazza eh!? E me lo dici così?! Quando me la presenti?! Com é ?!bella come tua sorella spero> lui sbuffa. Non è mai stato un tipo molto estrovero e incline a raccontare le sue cose. In questo ci somigliamo molto. < Ma la finisci con questo terzo grado? Non ho intenzione di rispondere a nessuna delle tue domande, non é ancora una cosa seria quindi non aspettarti che te la presenti nel prossimo futuro, o forse mai. E no,non é bella come te.... Molto meglio> e con quell'affermazione inizia a ridere come un matto. Ride talmente di gusto che non nota il contenitore del caffé, dove fino a pochi minuti fà c' era il mio caffé, volargli in faccia.
Passiamo la giornata in giro per Seattle. Gli mostro la città, o almeno quel poco che conosco, e verso sera decidiamo di prendere cibo cinese d'asporto e scofanarcelo a casa davanti la TV.
Dopo cena, ci ritroviamo seduti  sul divano, cosi decido di ricominciare con le domande: < allora Jason come sta la mamma?> Ho rimandato questa domanda per tutto il giorno, ma ora non resisto più. Lui con ancora gli occhi incollati allo schermo < bene, ma non la vedo molto più di quanto la vedi te>. Questa cosa mi preoccupa < Jason ti avevo implorato di starle vicino e invece che fai?! La vedi anche meno di me?! Ma che problemi hai?!>. Jason si alza di scatto dal divano e mi si para davanti, con un cipiglio incazzato. < Io che problemi ho Lexie?! Davvero stai facendo a me questa domanda, quando dovresti farla a lei?! Non vado a trovarla perché sta benissimo da sola. Esce tutte le sere, va a cene e feste di gala sbattendosene altamente di tutto lo schifo che é capitato. Non le importa nulla di scagionare il nome di nostro padre.È andata avanti Lexie, fattene una ragione, e vai avanti anche tu. Anche se riuscissi a trovare quello che stai cercando qui a Seattle, non servirebbe a nulla... Siamo io e te Lex, contro il resto del mondo, che oramai si é fatto un idea molto chiara su chi era nostro padre, quindi ascolta il mio consiglio, molla tutto e torna a casa con me. Ormai é troppo tardi. > E con quell'ultima affermazione si alza, e si dirige a grandi passi verso la stanza degli ospiti, sbattendosi la porta alle spalle.
Quella sera non riesco a prendere sonno. Le parole di mio fratello riecheggiano ancora nella mia testa. Sapevo che mia madre non era così disperata come pensavo, avevo visto più volte la sua foto sul New York Times nella sezione riservata alla cronaca rosa, ma in cuor mio speravo, e spero ancora, che sia solo una farsa, una recita, per scoprire chi ha incastrato nostro padre. Ma più passa il tempo, più questa convinzione va scemando.

Il giorno dopo sia io che Jason evitiamo accuratamente di toccare di nuovo quell'argomento, e ci godiamo il tempo che ci resta, tra ristoranti e musei vari.

Verso le sei del Pomeriggio insisto per accompagnarlo in aereoporto, ma lui non vuole saperne di farmi fare un ora di strada solo per vederlo andar via, cosi chiamiamo un Taxi che lo accompagni. Al momento dei saluti ci abbracciamo forte, e sento Jason sussurrarmi all'orecchio < Lex la vita è breve, inizia a pensare più a te stessa e al futuro, e meno al passato. Tutto il tempo che stai sprecando non tornerà indietro, e non voglio che tra vent'anni guardandoti indietro avrai dei rimpianti come ne ho io. Ascoltami per una volta, e molla tutto. Ti voglio bene lo sai. A presto.> e con quella frase mi dà un bacio sulla testa e se ne va.

Per il resto della serata, e anche dopo essere andata a letto, penso se io debba sul serio mollare tutto e riprendere in mano la mia vecchia vita, come mi ha consigliata Jason, o continuare ad indagare.
Mio padre era, è, e sarà per sempre l'uomo più importante della mia vita, e quello che gli é stato fatto non può passare inosservato. Me l'hanno portato via e chiunque sia stato dovrà pagare per questo. Quindi mi dispiace fratellino, ma io vado avanti.

Undercover Love #wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora