1. LUKE

662 22 10
                                    

Mi svegliai con una strana sensazione di gelo nelle ossa. Mi sentivo intorpidita, stanca, esausta. La vista era appannata, non riuscivo a mettere a fuoco nemmeno la mia mano, poggiata languidamente sul pavimento a pochi centimetri da me. Avevo il respiro flebile, e sentivo come tante piccole scaglie di vetro trafiggermi il cervello. Mi coprii le orecchie con le mani, istintivamente. Volevo sparire, chiudermi in un guscio per non uscirne più. Non sopportavo l'idea di dover alzarmi e riprendere a vivere. Sentii delle urla: Luke.

Furono proprio quelle a farmi tornare la voglia di vivere, le urla di mio fratello gemello.

"Devi lasciarla in pace, mostro!" lo sentii urlare, e capii chiaramente che era con nostro padre che stava litigando. Un tonfo sordo sul pavimento. Doveva averlo colpito, Luke doveva essere caduto. Me ne stetti lì, col cuore in gola per una decina di minuti. Mio padre doveva essersi allontanato, probabilmente era andato al bar a giocare d'azzardo o a ubriacarsi fino a vomitare, quando sentii un debole fruscio. Mio fratello si stava alzando, e poi, zoppicando, stava raggiungendo la porta della cantina. Mi stava venendo a prendere, per portarmi in salvo, fra le sue braccia. Mi stava venendo a salvare, lui, il mio angelo biondo con gli occhi azzurri come il mare.

Zoppicando, scese le scale. Feci per tirarmi su, ma le braccia mi cedettero e mi ritrovai con il naso a un millimetro dal suolo. Odiavo sentirmi così debole. Odiavo quella merda di situazione nella quale mi trovavo. Mi voltai verso Luke, e con la coda dell'occhio lo vidi tenersi un braccio, dolorante. Aveva un grosso segno violaceo, appena sotto lo zigomo. Aveva le labbra viola, spaccate. Il sangue che gli colava fra i capelli, rendendoli di uno strano color rame. Il mio angelo era ferito e insanguinato. Il mio angelo era pieno di lividi e cicatrici.

"Luke..." sussurrai.

Lo vidi crollare in ginocchio di fianco a me, e sentii le sue braccia sollevare il mio corpo nudo dal pavimento. Aveva gli occhi velati di lacrime, ma mi sorrise ugualmente. Non voleva che lo vedessi piangere, era una di quelle cose sulle quali Luke era particolarmente intransigente. Portai una mano sul suo volto, accarezzandogli la guancia, leggermente. Lo sentii sussultare e ritrassi la mano. Probabilmente gli avevo fatto male, senza volerlo; ma lui mi riprese la mano e, tenendo la sua sopra la mia, riadattò l'arto alla propria guancia. Le nostre dita si intrecciarono. Il mio corpo fu squassato dai singhiozzi.

"Vieni, piccola Dafne. Andiamo a darci una ripulita"

Luke mi preparò la vasca da bagna, riempiendola di acqua non troppo calda, ma nemmeno troppo fredda. Non era nemmeno tiepida, al dir la verità. Era miscelata come solo un mago saprebbe fare. La riempì di bagnoschiuma al muschio, il mio preferito. Mi ricordava la natura, i boschi verdi che mi piacevano tanto. Quelli nei quali, anche quando ti perdi, riesci a sentirti in armonia con ciò che ti circonda.

Mi depositò nella vasca da bagno, prestando attenzione a non farmi male. Poi, si poggiò alla porta del bagno, già precedentemente chiusa a chiave. Era la mia guardia del corpo, il mio tutto, ed io ero il suo universo. Non mi avrebbe mai lasciata da sola, sapendo che papà sarebbe potuto rientrare da un momento all'altro, in condizioni del tutto discutibili.

Chiusi gli occhi, appoggiai la schiena contro la fredda porcellana. Poi chiusi gli occhi, e mi rilassai, standomene lì, ferma, immobile.

Mio padre abusava di me da circa un anno. Ora ne avevo diciassette, e la cosa era addirittura peggiorata. Prima era solo sesso orale, ora invece aveva preso pieno possesso del mio corpo. Delle mie labbra. Dei miei occhi. Della mia dignità e del mio orgoglio. Ero diventato un corpo senz'anima. Ero diventata un oggetto adatto a fare il soprammobile. Mamma si bucava, e, sotto sotto, mi odiava. Papà preferiva il mio corpo, al suo, e a lei questo fatto non andava giù. Più volte, quando la ritrovai fatta, con una pozza di vomito ai piedi del divano e le pupille così ingigantite da avere occupato il posto delle iridi mi aveva dato della puttana, della stronza, della rovina famiglie. Ed io avevo incassato il colpo. Che altro avrei potuto fare, se non accettare a testa bassa la triste verità? Ero un disastro ambulante.

Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora