17. WHEREVER YOU ARE

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Mancava circa un’ora di strada. Il traffico era stranamente scorrevole, forse a causa del sole cocente che irradiava la terra senza mai fermarsi, come un piromane restio a lasciar cadere il suo piano di bruciare il mondo.

Quella strana sensazione che avevo avuto quando avevo osservato il sorriso di Ash era sparita. Più volte mi ero girata ad osservarlo, spinta dalla voglia di decifrare il mistero di quell’espressione completamente pura, innocente. Per meglio dire, fin troppo pura e fin troppo innocente. Ero seriamente preoccupata. Quel sorriso era diverso, dagli altri. Forse a causa dell’amarezza? O forse Ashton stava cercando la risposta a qualche stramba domanda che, volente o nolente, lo stava scombussolando dall’interno?

Me ne stavo lì con lo sguardo vitreo, il volto appoggiato sulla mano chiusa a pugno, quando sentii Harry scoppiare in una fragorosa risata.

“Harry?” domandai, curiosa.

Anche Luke si era sporto fra i due sedili anteriori, le sopracciglia inarcate, gli occhi azzurri puntati sulla mandibola di Harry. Ashton continuava invece ad osservare il paesaggio fuori dal finestrino. Mi chiesi cosa ci fosse di così interessante in quelle terre arse, sulle quali gli unici tanto coraggiosi da mettervi piedi erano animali dalla pelle dura, coriacea.

Il mio volto era riflesso nel finestrino, e quando Ashton alzò lo sguardo incontrò i miei occhi prima ancora di incontrare il cielo. Non distolsi lo sguardo, e nemmeno lui lo fece. Ci sorridemmo, e lui mi fece l’occhiolino. Non capivo cosa intendesse dire, ma non feci domande. Di fianco a me il riccio era ancora piegato in due dal ridere.

“Dafne, penso che ad Harry sia successo qualcosa…” mi fece notare Luke, visibilmente in apprensione.

Scrollai la testa, facendogli segno di no. Quelle risate non erano scaturite certo dall’aver visto qualche sagoma anomala in mezzo alla strada, forse creata da un qualche tipo di allucinogeno ingerito chissà dove.

Accantonai per un attimo mio fratello, il quale si ritirò nel suo spazio, tornando ad appoggiare la schiena contro il comodo sedile rivestito in pelle della Chevrolet.

Lasciai che Harry si calmasse. Ci vollero parecchi minuti, forse una decina. Le risate diminuivano d’intensità, senza però scomparire del tutto. Restavano lì, assopite nella sua gola, pronte ad evadere non appena la sua bocca si spalancava, nel disperato tentativo di darmi un qualche tipo di spiegazione.

“Har-“

Mi interruppe alzando una mano. Sorrisi, mi appoggiai allo schienale e tirai un sospiro di sollievo. Finalmente quelle risate alle quali non avevo potuto partecipare per cause superiori erano cessate.

“Sai Dafne, mi è tornata in mente una cosa” disse Harry, inspirando un’abnorme quantità d’aria. Per un attimo, temetti che i polmoni gli sarebbero scoppiati.

“Grazie mille, Harry, quello lo avevo capito anche da sola. Dovresti dirmi cosa hai pensato, piuttosto” sbuffai, le braccia incrociate all’altezza del seno.

“Quanto sei impaziente, Dafne. Volevo solo creare l’atmosfera giusta per dirtelo”

“Dirmi cosa?” domandai, colta alla sprovvista.

Il sorrisino che si dipinse sulle labbra di Harry non mi convinse proprio per niente. Era un sorriso indeciso e dolce allo stesso tempo. Da una parte, sapevo che ciò che sarebbe uscito dalle labbra di Harry mi avrebbe toccata nel profondo, facendomi commuovere; dall’altra, capii che il riccio avrebbe preferito tenere tali parole per sé.

“Che avevo scritto una canzone per te, quando vivevo nell’Oregon” disse passandosi una mano fra i capelli, nel disperato tentativo di dissipare l’imbarazzo.

Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora