Il telefono continuava a squillare. Ashton si era immobilizzato a metà strada, e aveva repentinamente girato la testa in direzione della cucina, sul cui tavolo l’apparecchio continuava a vibrare, rumorosamente. Luke mi strinse maggiormente a sé, ed io non glielo impedii. Quel suono mi stava ghiacciando le vene. Avevo proprio bisogno di un corpo caldo che mi scaldasse.
Ashton e Luke incrociarono i loro sguardi, e così rimasero, incatenati l’uno agli occhi dell’altro. Io fissavo l’antro vuoto della cucina dalla porta sbarrata, mordendomi piano l’interno della guancia. Sentivo un richiamo muto, invisibile a tutti, me esclusa, un po’ come quei fischietti per cani il cui suono solo loro riescono a udire.
Sentivo che quella chiamata avrebbe radicalmente scombussolato la mia vita. Mi correggo, l’avrebbe scombussolata ulteriormente. Avrebbe aggiunto un nuovo nodo alla corda tanto ingarbugliata che rappresentava la mia vita. O forse ne avrebbe districato uno, per aggiungerne altri cento. Era una vera tortura, quel telefono che squillava impazzito. La curiosità mi spingeva ad alzarmi e correre in cucina, tuffarmi su quel maledetto apparecchio e rispondere. Dall’altra parte, le braccia di Luke e gli occhi di Ashton puntati sul mio corpo mi ricordavano quanto le cose fossero già complicate, senza bisogno di aggregarvi ulteriori danni.
Continuavo a tormentarmi, la mia testa sembrava impazzita. Dovevo sbrigarmi a prendere una decisione. Guardai Ashton con occhi supplichevoli, e lui capì. Forse non capiva il motivo del mio disagio, ma di certo una cosa l’aveva compresa: volevo che rispondesse a quel dannato telefono.
“Allora, che si fa? Rispondiamo?” chiese Ash, sorridendomi.
Sorrisi pure io, ma il mio fu un sorriso spento. Uno di quei sorrisi che non fanno in tempo a vedere la luce del sole prima di ritrovarsi belli e sepolti.
Anche Luke posò il suo sguardo su di me. lo sentii intenso sulla nuca. Mi baciò i capelli, prima di stringermi maggiormente a sé.
“Rispondiamo. Prima di uscire ho controllato che papà, mamma e la zia dormissero. Non si sarebbero svegliati nemmeno se avessi fatto scoppiare una bomba ai loro piedi. Per cui, sì, rispondiamo. Facciamolo per la piccola Dafne”
Mi girai verso Luke, sorridendo, sbalordita. Lui ricambiò il sorriso e mi scompigliò i capelli.
“Siamo in contatto, Dafne. Non dimenticarlo” mi sussurrò all’orecchio, provocandomi dei brividi, mentre Ashton afferrava il telefono per poi ricomparire davanti a noi.
“Pronto?” disse, il tono cupo, serio. Avevo visto poche volte Ashton incupirsi in quel modo.
“Sta diventando come quando ha scoperto che quell’uomo con la Chevrolet nera ci inseguiva” mormorai, non abbastanza per evitare che Luke mi sentisse.
“Uomo della Chevrolet? Ma cosa diavolo…”
Lo vidi farsi anch’egli scuro in volto, così appoggiai la mia testa contro il suo petto, guardandolo dal basso.
“Poco tempo fa Ash mi ha portata a Sydney. Si era fissato con la storia dello zoo e delle pantere, così ho deciso di accontentarlo. Siamo rimasti là un po’ più del dovuto, ma ci siamo divertiti. Solo che… beh, Ashton si è accorto che una Chevrolet nera che ci aveva braccati fin dall’inizio del viaggio continuava a starci alle costole anche a Sydney. Mi sono spaventata, ma inutilmente. Dopo che la Chevrolet del mistero ci ha riaccompagnati praticamente a casa, non si l’ho più vista”
Luke spalancò la bocca, inorridito, pronto a dire chissà cosa. Sicuramente stava pensando a chi diavolo potesse essere quell’uomo così infido da pedinarci fino al lato opposto dell’Australia. Qualcuno di molto motivato, di quello potevo andarne certa. Ma chi?, era l’interrogativo a cui non avevo ancora trovato una risposta.
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Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il sole
FanfictionHo iniziato a scrivere questa storia il 25 aprile 2014 alle ore 21:09 e 28 secondi. Non so ancora quando metterò la parola "fine", ed anche se sono curiosa di sapere quando ciò avverrà, so che quello è un momento ancora lontano. Vorrei potervi dire...