5. THRILLER

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Non so per quanto tempo le nostre labbra rimasero a contatto. Ricordo solo che le sensazioni che provai furono tante, e discordanti: da una parte sentivo il rimorso. Quel bacio era una specie di effetto farfalla, e, se la teoria non è errata, con quel gesto avevo probabilmente scatenato un uragano da qualche parte nel mondo. O forse, proprio nella città in cui vivevo; dall’altra mi sentii completamente indifferente. Anche se l’uragano si fosse abbattuto sulla casa, in quel preciso momento, non me ne sarei crucciata più di tanto. Perdonami l’egoismo, mondo, ma queste labbra sono così soffici che mi ci vorrei tuffare; poi, sentii le farfalle. No, ma che dico. Sentii uno sciamo d’api, uno scalpicciare di zoccoli di unicorni librarsi nel mio stomaco. Correvano, e mi scombussolavano le interiora. Non le stavano ferendo, si limitavano a stuzzicarle; poi, sentii la paura. La paura di quel gesto così nero, per me. Le ultime labbra che ricordavo di aver toccato erano quelle di mio padre, e, sinceramente, non ne andavo particolarmente pazza. Però le labbra di mio padre erano rotte, screpolate. Erano rozze, oserei dire. Anche quando si cimentavano in un semplice bacio, finivano sempre per chiedere qualcosa in più, quel qualcosa che guastava la mia pace interiore. Quelle di Ashton, invece, erano le labbra di un cavaliere. Dico di un cavaliere e non di un principe perché i principi se ne stanno là, immacolati, in cima alla loro torre, mentre i cavalieri scendono sul campo di battaglia. Affrontano i nemici e ne riportano le ferite, spesso troppo simili a ricordi.

Poi, mi staccai.

Sorrisi, mentre mi allontanai da lui, con lentezza. Aprii gli occhi per incrociare lo sguardo stralunato di Ashton, come se non capisse. La sua mano sul mio ginocchio mi stava facendo andare troppo sangue al cervello. Improvvisamente mi resi conto di quanto la mia pelle fosse sensibile al suo tocco.

“Scusami, è stato un gesto avventato. Solo che non la finivi più di incolparti, e così… insomma, ho capito che dovevo fermarti”

I suoi occhi erano sbarrati, ma sbarrati è dir poco. Sembrava dovessero fuoriuscirgli dalle orbite da un momento all’altro. Ashton restò immobile a fissarmi ancora per qualche tempo, poi scosse la testa e sorrise. Sembrava stesse cercando di scacciare qualcosa, anche se non sapevo esattamente cosa.

“Strano modo di fermarmi. Certo, non che mi dispiaccia. Dovresti fermarmi più spesso, sai, Dafne?”

Avvampai, e abbassai lo sguardo. Tutta la spavalderia di poco prima mi aveva già abbandonato. Bell’amica che sei, eh.

“Scusami, non avevo pensato alle conseguenze. Probabilmente avrai la ragazza. Ma tranquillo, non lo dirò a nessuno. Nel caso qualcuno dovesse coprirlo, mi assumo tutte le responsabilità”

Mi portai una mano al petto, come se stessi facendo un giuramento solenne. Ashton scoppiò a ridere, e inizialmente fui spaventata da quella risata. Dovevo sembrargli ridicola. Già, probabilmente ero ridicola, in quella strana posizione da lupetto dei boy-scout.

“P-perché ridi?” lo domandai spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Poi, iniziai a lisciarmi una ciocca di capelli più in basso, mentre lo guardavo di sbieco.

“Perché la mia ragazza è morta un anno fa, Dafne, e da allora non ho mai più toccato un corpo femminile”

Non so come fece a dirmelo fra una risata e l’altra. Non so come fece a dirmelo senza guardarmi con odio. Non so nemmeno come fece a dirle, quelle parole, con tanta leggerezza. Chi lo sa, forse era arrivato il tempo delle confidenze. Forse era arrivato il suo momento, per aprirsi.

“Vedi, Dafne, la sera che tuo padre ti fece quel che ti ha fatto, la sera che Luke venne picchiato per la prima volta, io ero fuori a cena con la mia ragazza. Si chiamava June, non era una ragazza particolarmente sveglia, ma neanche particolarmente bella. Mi sono sempre piaciute le ragazze così, quelle che non sanno un cazzo della vita e del mondo in generale e che non sono interessate ad esso. Mi facevano sentire a mio agio, come se fossimo gli ultimi esemplari di una razza estinta. Io studiavo in una scuola di basso livello. Non avevo sogni, non avevo ambizioni. Mi accontentavo di vivere la giornata, così, come se la cosa potesse bastarmi all’infinito. Anche June frequentava la mia stessa scuola. Era in una classe inferiore rispetto alla mia, perché era di un anno più piccola di me. Ci conoscemmo per caso, in corridoio. Lei era andata a prendersi un tè caldo alle macchinette, io non la vidi e ci scontrammo. Mi insaccò di nomi, e la mia prima reazione fu di stima nei suoi confronti. Una stima profonda. Nessuno aveva mai osato insultarmi così, prima d’ora. E nessuno, soprattutto, aveva mai osato insultare la mia famiglia.

Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora