15. WINNELLIE

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Ci trovavamo a Winnellie, un sobborgo industriale di Darwin, posizionato leggermente più a nord rispetto ad essa. Solo di recente avevano istituito veri e proprio borghi residenziali, nei quali vivevano per lo più le famiglie degli operai delle fabbriche situate nei dintorni. Era un sobborgo triste, soprattutto in autunno, quando i colori tutto d’un tratto si spengono, lasciando sempre più il posto al grigio cenere, e sempre meno al rosso fiammante.

La Stuart Highway era una strada per lo più brulla, dove il colore predominante era quello nudo e secco del terreno sul quale poggiava l’asfalto. Qualche nota di verde spuntava qua e là, facendo capolino fra sassi e dune. Generalmente tale colore veniva conferito da alberi, o, nel peggiore dei casi, da cespugli lasciati incolti.

Harry cantava a tutto spiano una canzone di Keith Richards. L’avevo sentita parecchie volte, alla radio, quando ero bambina. Ricordai chiaramente un giorno, quando Luke riuscì a rubare la minuscola radio portatile di papà senza che nessuno lo scoprisse. Ci rifuggiamo in cantina, quel posto oscuro che mi avrebbe tormentato nei miei peggiori incubi parecchi anni dopo, e alzammo l’audio a tutto volume. Quando trasmisero quella canzone che, proprio ora, mentre ero in viaggio per chissà dove, in fuga dal passato, Harry stava cantando, Luke mi costrinse ad alzarmi in piedi, per poi ballare, ballare… e ballare. Mio fratello sembrava proprio uno di quegli aggeggi moderni dotati di batterie inesauribili.

I love you still you won again/I love you still you won again

Harry finì di cantare, soddisfatto, e con lui finirono anche le parole di Keith. Avevo la pelle d’oca, i peli eretti sulle braccia, come suricati sull’attenti quando arriva il loro turno di fare la sentinella. Keith Richards era un mago della chitarra. Sapeva intrigarti, con il movimento delle sue dita, scombussolandoti l’animo. Sapeva come pronunciare le parole, strozzate, portandoti a credere che quei suoni troncati a metà e poi ripresi fossero brutti segni sul nastro. Invece non era così. Era il suo modo di cantare. Ti teneva in sospeso fino al termine della canzone, impedendoti di spegnere la radio, o di sintonizzarti su un altro canale. Improvvisamente sentivi di aver bisogno di quella canzone. Di quella, e di nessun’altra al mondo.

“Sai una cosa, Harry?” chiesi, con un sorriso meschino sulle labbra, evitando appositamente di guardarlo negli occhi, ma concentrando il mio sguardo sull’asfalto davanti a me.

“Uhm, vediamo. Quel tuo sorrisino non mi convince proprio per niente. Avanti, spara”

Sentivo il suo sguardo puntato sul mio volto messo di profilo. Me lo immaginavo con le sopracciglia curvate in una comica “v”, con la fronte ricoperta di quei solchi profondi che tanto amavo.

“Un po’ ci assomiglia, a Keith Richards. Voglio dire, avete entrambi capelli indomabili e poi siete entrambi dei bandana-man”

Restammo in silenzio per qualche secondo. Poi, scoppiamo a ridere, dandoci dei gran pugni sulle gambe, quasi a voler sottolineare la potenza comica dell’affermazione.

“Un bandana-che?” chiese Harry, asciugandosi le lacrime formateglisi nella riga inferiore degli occhi, proprio come un argine conterrebbe le acque di un fiume in piena.

Provai a parlare più volte, ma ogni qualvolta la mia bocca si apriva per emettere un qualche tipo di suono, il petto tornava a squassarmisi dalle risate. Poi, mi calmai.

“Comunque mi piacerebbe essere come Keith Richards, sai. Vorrei anche io fare come lui, passare la mia vita a fare quello che mi piace senza dover far conto di niente a nessuno. Fare quello che mi piace anche quando sono ormai diventato un vecchio rattrappito, e la gente si sente in dovere di venirmi vicino per chiedermi se respiro ancora”

Sorrisi, sprofondando con la schiena nel sedile. Appoggiai i piedi sul cruscotto. Harry mi lanciò un occhiata fulminante, poi si arrese. Sorrise, scosse la testa, e continuò a tenere lo sguardo puntato sulla Peugeot davanti a noi.

Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora