Quando mi svegliai, provai un senso di vuoto profondo. Mi sentivo incompleta, vittima sacrificale del freddo. Era luglio, e faceva piuttosto caldo. Il termometro appeso alla parete segnava trentuno gradi. Sentivo il sudore imperlarmi la fronte, attaccando le lenzuola al mio corpo, proprio come farebbe ferro in polvere depositandosi su di una calamita. Durante la notte mi ero staccata da Ashton, sottraendomi dalla sua consueta, solida presa. Lo sentii grugnire in senso di dissenso, ma non me ne crucciai: sorrisi, poi tornai a dormire. La lontananza da Ashton non era stata comunque sufficiente a far raffreddare il mio corpo, il quale sembrava aver preso fuoco. Così, mi sfilai maglia e pantaloncini, restando soltanto in mutande e reggiseno. Fui indecisa sul da farsi quando mi ricordai di portare della biancheria all’americana. Per chi non lo sapesse, la biancheria all’americana è quando mutande e reggiseno non sono uguali. Quando, per meglio dire, non si coordinano per niente. In quel caso, indossavo un reggiseno di raso azzurro e un paio di mutande di pizzo color panna.
Alla fine lo feci, e quando sentii la mano di Ashton allungarsi verso il mio corpo seminudo, fino a toccare il fianco nudo, rabbrividii. Sentii Ashton stesso sussultare, senza tuttavia ritrarre la mano. Anche lui dormiva in boxer, in fondo. Un paio di boxer blu notte sul quale erano disegnate un sacco di pecorelle dal pelo bianco folto come una foresta. Lo presi in giro quando glieli vidi indosso, e lui si finse offeso, per un certo periodo di tempo. Alla fine, fu lui a demordere.
Insomma, mi svegliai, e capii che mancava qualcosa, qualcosa di essenziale. Mancava Ashton. Spesso si svegliava prima di me, alla mattina, ma quando succedeva io me ne accorgevo quasi subito. Se lui si svegliava alle sei, per dire, io alle sei e dieci ero in piedi. Non so perché. È come se sentissi che mancava qualcosa. Se era vero che Ashton che mi aveva rubato il cuore, allora forse era quello, a mancare.
Tastai un paio di volte lo spazio vuoto di fianco a me. Sentii quanto fosse freddo, e spalancai immediatamente gli occhi, tirandomi a sedere. Non poteva essere freddo. Guardai la sveglia posta sul comodino dal lato del letto di Ash, e lessi che erano soltanto le sette del mattino. A che ora doveva essersi svegliato Ash per far sì che la sua postazione diventasse fredda come un igloo in Antartide?
Restai lì, pensierosa. Il sonno si era dissipato velocemente, proprio come fanno le nuvole più scure al termine dei temporali estivi. Poi, sentii delle voci provenire dal salotto.
Più che voci, erano dei bisbigli. Bisbigli sussurrati così piano che mi riusciva difficile percepirne anche solo la presenza. Pensai che dovessero essere due, gli individui padroni di quelle voci. Di quegli strani suoni, così simili a i soffi che i gatti rivolgono a tutto ciò che, anche solo blandamente, li infastidisce.
Mi alzai, indossai un maglioncino grigio appartenente ad Ash, e in punta di piedi raggiunsi il salotto. Quando i miei passi si fecero più vicini, sentii il fino ad allora continuo bisbigliare cessare, così di colpo. Un po’ come quando, fuori dalla camera di un ospedale, i familiari del paziente attaccano a fare congetture e ipotesi, come macchine senza freni, inarrestabili, fin tanto che il dottore non fa capolino dallo stipite della porta. Allora, improvvisamente, tutti ammutoliscono.
Prima di fare il mio ingresso in soggiorno, mi passai una mano fra i capelli. Si erano allungati ulteriormente, e ormai arrivavano ben sotto le scapole. Ma il loro colore era rimasto lo stesso, proprio come i miei occhi. A differenza della mia vita, quello non era cambiato.
Entrai in sala, e vidi Ashton seduto su uno dei due divani, quello che stava dirimpetto al tavolino, solo, intento a fumare. Era vestito di tutto punto. Indossava un gilè smanicato azzurro filmato Ralph Lauren, una camicia bianca dalle maniche ben arrotolate, e un paio di jeans leggermente strappati di qua e di là. E poi, il cappello. Quel cappello bianco, il suo preferito. Quello al quale mi aveva gentilmente chiesto di dare nuova vita.
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Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il sole
FanfictionHo iniziato a scrivere questa storia il 25 aprile 2014 alle ore 21:09 e 28 secondi. Non so ancora quando metterò la parola "fine", ed anche se sono curiosa di sapere quando ciò avverrà, so che quello è un momento ancora lontano. Vorrei potervi dire...