4. PRIMAVERA

189 12 3
                                    

“Allora, che ti va di fare?”

Stavo pensando a quei dannatissimi da una quindicina di minuti, ormai, e il terrore stava crescendo a dismisura. Sentivo il battito cardiaco aumentare sempre più, e la testa iniziava a girare vorticosamente. Mi trattenni dall’annaspare, ma era stato il mio primo estinto. Come se stessi affogando nei miei pensieri lugubri; nei miei ricordi infelici. Ringraziai quindi la venuta di quella domanda da parte di Ashton, il quale, sorridendomi, sembrava non aver fatto caso alla battaglia che avevo dentro.

“Non saprei…”

Le parole iniziavano a venirmi meno. Fino a poco prima avevo parlato così tanto da seccarmi la gola, mentre adesso la mia lingua sembrava volersene stare attaccata al palato. Non voleva superare la linea di confine marcata dai denti.

“Uhm… vediamo… fammi pensare. Non possiamo uscire, quindi dobbiamo trovare qualcosa da fare qui in casa… ah-ah, ci sono!” con l’indice di fianco alla testa indicava il soffitto. Sembrava un personaggio dei cartoni animati. Davvero, gli assomigliava incredibilmente. Soffocai una risata, ma l’impresa mi riuscì, come dire, per metà. Ashton se ne accorse, e si sciolse in una risatina anche lui.

Si alzò dalla sedia e mi prese in braccio. Incominciavamo a sembrare Biancaneve e il suo principe azzurro quando lui la salva dopo averla salvata dalla sua morte apparente, baciandola. Avvampai a quel pensiero, e cercai di storcere il collo il più possibile, in maniera tale che Ashton non potesse vedere le mie guance colorarsi di una leggera sfumatura pompelmo. No, non pompelmo: tramonto.

Le labbra di Ashton sembravano quelle del Diavolo sceso in terra. Non perché fossero brutte, o malvagie. Tutt’al più erano invitanti, tentatrici. A volte erano opache, altre rosso fuoco, altre ancora rosa acceso. Aveva le labbra più belle che avessi mai visto. Aveva labbra che solo a guardarle ti ricordavano lo zucchero filato e la panna montata. Ricordavano la schiuma spray che ci si spruzza addosso a carnevale. Immaginai fossero dolci e salate al tempo stesso, chissà, forse a seconda dell’umore. Immagina che fossero fameliche, quelle labbra. Che fossero vanitose, per giunta, perché delle labbra così belle non potevano certo non esserle.

“Tieniti pronta, Dafne. In questa stanza non metto piede da un bel po’. Sarà impolveratissima, immagino… non sei allergica alla polvere, vero? Altrimenti è meglio…”

Feci cenno di no con la testa. Ashton mi sorrise, poi piegò la maniglia con una mano ed entrammo. La stanza era nella penombra, illuminata solo dai raggi solare che filtravano dalla finestra. Quando i miei occhi si abituarono, furono due le cose che mi colpirono maggiormente: la prima fu la quantità di oggetti presenti in quella stanza. Vi erano libri, dischi, vecchi album di fotografie, grammofoni, vinili e quadri sparsi ovunque; la seconda furono invece gli occhi di Ashton, che ripercorreva tutta quella accozzaglia di elementi come se fosse la prima volta che li vedesse in vita sua.

Non so come, ne quando, ne perché, ma a un certo punto prima che mi poggiasse su una vecchia sedia imbottita, sentii come se la stanza intorno a me invocasse il suo nome. O forse era Ashton stesso, ad invocarsi? Lo guardai, in piedi al centro dell’abitacolo, mentre guardava gli oggetti attorno a sé. Aveva lo sguardo basso, gli occhi semichiusi, spenti, e le labbra compresse in un filo unico. Furono soprattutto le mani a colpirmi, strette a tal punto da far sbiancare le nocche. Ashton doveva essere stato diviso in due, a un certo punto della sua vita. L’Ashton vecchio veniva ora rimpianto da quello nuovo, e da quando era cambiato, probabilmente l’Ashton che avevo di fronte non aveva più messo piede in quella stanza. Era un po’ come me e Luke. Anche noi eravamo stati divisi. Ed entrambi rimpiangevamo i nostri io precedenti.

Mentre lui se ne stava lì, impalato, in religioso silenzio, assorto nei suoi pensieri, con una mano afferrai una rivista posta sul davanzale della finestra. Era parecchio impolverata, e la data risaliva all’anno prima, ma in quel frangente non mi sarei lamentata. Era da tanto che non leggevo una rivista, e ora che ne avevo la possibilità, me la sarei concessa.

Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora