3. SUSANOO

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L’indomani mattina fu il cinguettio degli uccelli a svegliarmi. Passerotti, a giudicare dalla melodia, ma potevano benissimo essere pettirossi o, che ne so, merli. No, merli forse no. E poi i merli mi incutevano timore. Erano così simile a corvi e cornacchie. A differenza loro, tuttavia, non venivano considerati portatori di morte.

Mi raggomitolai il più possibile nelle coperte. Era estate, e normalmente si stava benissimo in pantaloncini corti, ma quella mattina sentivo il gelo nelle ossa. Sentivo il vuoto totale rimbombarmi dentro, come se la mia struttura fosse cava, mangiata dai tarli, forse.

Ero avvolta dal profumo di Ashton. Lo sentivo ovunque. La maglia che indossavo ne era intrisa. Chissà quante donne l’avevano indossata, quella maglietta. Chissà in quante avevano dormito lì, in quel punto preciso nel quale ora mi trovavo. Eppure, ebbi tutt’a un tratto l’impressione che Ashton non frequentasse ragazze da un bel po’ di tempo. Sembrava insofferente al riguardo. Me ne ero accorta quando mi aveva svestita, per poi mettermi letteralmente nei suoi panni. Non mi aveva guardata con desiderio, ma, piuttosto, come si guarda una reliquia. Come si guarda un vecchio film dopo che è stato riposto su di uno scaffale per vent’anni.

Mi girai, aspettandomi di vederlo lì, sulla branda, a dormire. Invece non lo vidi. Non mi prese il panico, perché avrebbe dovuto, infondo? Ashton era il miglior amico di Luke. Aveva preso un impegno con mio fratello, e non l’avrebbe di certo violato. Certo, dovevo essere un bel peso, per lui, maschio indipendente ora alle prese con una ragazza alla quale doveva fare da babysitter. Probabilmente mi avrebbe riportata indietro, un giorno o l’altro. Non sapevo quando, ma, pensai, il più presto possibile.

In quel momento sentii aprirsi la porta di casa. La chiave aveva girato nella serratura parecchie volte, penso anche più di quattro, e il portone si spalancò per poi richiudersi. Strinsi istintivamente le coperte nelle mani, ancorandomi come un gatto quando non vuole essere lavato. I passi si fecero lontani, poi sempre più vicini, fino a che i capelli color paglia di Ashton non fecero il loro ingresso nella stanza.

“Dafne, sei sveglia?” sussurrò, come se temesse che stessi ancora dormendo. Sorrisi. Anche Luke aveva quel vizio di sussurrare per non svegliarmi. Odiava doverlo fare. Diceva che ero così in pace, quando dormivo.

“Sì…”

Parlai. Doveva essergli sembrato un evento straordinario, perché mi corse letteralmente incontro e mi sollevò di peso dal letto. Mi sentivo come una lepre dopo che è stata cacciata, quando non può far altro se non arrendersi. Così non scalciai, non mi mossi, ma sorrisi. Era strano, quel ragazzo.

“Quando sono uscito stavi dormendo, così non ti ho svegliata. Sono le otto del mattino, hai dormito parecchio. Penso dodici ore, ma non ne sono sicuro. Non sono mai stato bravo in matematica. Comunque ho comprato da mangiare. Vieni, andiamo a fare colazione”

Mi depositò sulla stessa sedia sulla quale ero stata la sera prima. Mi mise davanti una tazza di tè bollente e qualche fetta di pane tostato. Davanti a me, vidi un vasetto di marmellata ai frutti di bosco. Non era la mia preferita, ma la preferita di mio fratello. Probabilmente era per quello, che l’aveva scelta. Quella tavola imbandita sembrava tipica di una casa inglese. Noi ci trovavamo in Australia, e la cosa non era poi così insolita. L’Australia, per quel che ne sapevo, era territorio della regina. Qualcosa di simile, insomma.

“Luke voleva sempre la marmellata ai frutti di bosco, così…”

Sorrisi, era divertente vedere Ashton cercare delle scuse. Ma non doveva giustificare nulla. Era casa sua, poteva prendere la marmellata che voleva quando voleva.

“Va bene così…” arrossii, penso, quando vidi gli occhi di Ashton brillare e il suo sorriso espandersi. Poi, quelle fossette. Mio Dio, avevo voglia di toccarle.

Ricordaglielo anche quando in cielo brilla il soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora