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"Ma che cazzo di problemi hai?", sentii urlare da fuori. Ero appena riuscita a prendere sonno ed era molto tardi, forse le tre.
"Io non ho nessun problema. Sei tu ad averne, forse pure troppi", continuò un'altra persona. Erano voci maschili e non erano lontanissimi dal balconcino di camera mia.
Mi alzai piano dal letto cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare nonna che dormiva nella stanza affianco. Aprii le tende e portai gli occhi sulla strada, non c'era nessuno. Eppure sembravano essere vicine.
Presa dalla curiosità uscii da camera mia e raggiunsi la cucina, finalmente riuscii a vedere qualcosa. C'erano più o meno 5-6 persone, alcune a destra e altre a sinistra, mentre al centro ce ne erano altre due, che si spintonavano a vicenda. Non c'era luce nello spiazzale, potevo soltanto vedere delle sagome, senza sapere o capire chi fossero.
Le spinte iniziarono a farsi più violente, lo notai dal fatto che quando era il turno di uno dei due, quest'ultimo indietreggiava e perdeva un po' di equilibrio. Mi sedetti per terra, intenzionata a vedere tutto lo spettacolo. Erano molto vicini ed era già strano il fatto che non si erano accorti della mia presenza.
"Ti faccio pentire di essere nato, te lo giuro!", uno dei due urlò ancora contro l'altro.
"Io non credo tu sia capace Giovà, sei un povero scemo", rispose pungente l'altro. Questa voce però mi era già più familiare dell'altra.
In men che non si dica uno dei due - il più grosso - si buttò letteralmente sulla figura più minuta.
Iniziarono ad azzuffarsi senza sosta, ma nessuno faceva niente per intervenire.Erano già volati molti calci e anche molti pugni, c'era saliva che volava ovunque - ovviamente per tirarla in faccia all'altro -, finalmente, una delle persone sulla destra, quindi dalla parte del più minuto, intervenne.
Si mise al centro tra tutti e due e cercò di dividerli invano."Ciccio, ti devi fare i cazzi tuoi. Se 'sto stronzo non muore stanotte non muore più", l'avevo già sentita quella voce.
Portai i capelli dietro le orecchie per sentire meglio. Lo stesso ragazzo che si era avvicinato - presumibilmente Ciccio - portò il ragazzo dalla voce familiare sotto il portoncino del palazzo dove abitava mia nonna.
Finalmente riuscivo a sentire meglio."Mì, adesso sali, ti fai una bella doccia, ti metti sul divano, magari dormi e ti fai i cazzi tuoi, poi se vuoi scendere mi chiami e ci vediamo dopo."
Gli fece tipo scuola, ma il ragazzo continuava ad urlare che lo voleva ammazzare, che questa sarebbe stata la volta buona.Era il ragazzo che avevo incontrato qualche mattina prima, lo capii sia dal soprannome che gli aveva dato Ciccio - forse - che dalla sua voce. Era piena di rabbia, esattamente l'opposto di quando l'avevo sentita per la prima volta.
"Se non fai come ti dico qualcuno chiamerà la polizia e ci porteranno in caserma, non mi va di avere altri guai. Soprattutto per colpa tua."
"Ma va, mi avete rotto tutti quanti il cazzo, dal primo all'ultimo", urlò di nuovo Mirko.Sentirlo parlare così mi aveva un po' scosso, qualche giorno prima si era dimostrato molto educato e garbato. Non riuscivo a credere che potesse essere la stessa persona.
Poi non sentii niente più, solo una macchina che si allontanava dallo spiazzale e dei passi che salivano le scale proprio accanto alla porta di casa mia.
Uscii velocemente sul pianerottolo per fumarmi una sigaretta, ma mi ritrovai Mirko di faccia, mi si catapultò praticamente addosso.
"Scusami", si rivolse a me dolcemente.
Aveva tutto il viso insanguinato e i denti altrettanto, presentava dei graffi sugli zigomi e le mani che si passò velocemente nei capelli erano tutte spaccate.
"Ho sentito casino, eri tu?", gli chiesi facendogli capire che più di tanto non me ne fregava, ma mi interessava solo del fatto che avevano disturbato il mio sonno.
"Uhm, sì, scusami. Di nuovo."
Lo guardai e notai che era un po' preoccupato della cosa che gli avevo appena detto, ma cercai di rilassare i muscoli della faccia - come per dire 'non è niente di grave' -.
"Come se non fosse successo niente", riuscii a dire solo questo.
Quel ragazzo mi faceva uno strano effetto, non volevo essere scorbutica con lui, qualcosa mi diceva che non se lo meritava.
Poi pensai ad un modo per farmi perdonare.
"Hai bisogno di aiuto?", gli chiesi incrociando le braccia e appoggiandomi allo stipite della porta.
"No, figurati. Devo solo cercare un disinfettante, che non ho. Potresti aiutarmi prestandomelo, se lo hai, ovviamente."
"Sì, dovrei averlo. Se vuoi aspettare qui torno subito, altrimenti seguimi", lo invitai ad entrare ignorando del tutto il fatto che fossero ormai le quattro di notte e che se si fosse svegliata mia nonna non avrei avuto minimamente idea di cosa avrebbe potuto pensare.
"Ti aspetto qui, forse è meglio."
Annuii ed entrai dentro, chiudendo la porta in faccia al moro.
Corsi fino in bagno, iniziando a cercare ovunque un disinfettante per poter aiutare il ragazzo.
Aprii alcuni cassetti lasciandone aperti altri, non riuscivo a trovare nulla. Iniziò a salirmi una strana sensazione, mi sarebbe dispiaciuto non aiutarlo.
Non capivo neanche perché pensavo quelle cose, quindi ignorai i pensieri e continuai a cercare. Avevo paura che fosse andato via e non mi aveva aspettato.
Infine aprii un grande armadietto, e la prima cosa che i miei occhi notarono fu il disinfettante. Tirai un sospiro di sollievo. Afferrai alcuni batuffoli di cotone idrofilo, un pezzo di stoffa, dell'acqua, delle fascette e mi diressi di nuovo verso l'uscita.
Lo trovai con il cellulare tra le mani seduto sulle scale che portavano al piano superiore.
Appena mi vide tirò un sospiro di sollievo.
"Pensavo ti fossi dimenticata di me."
"No no, tranquillo". Gli poggiai le varie cose tra le mani e feci per tornare indietro. Il mio lavoro era finito.
Mi sentii tirare il braccio e mi girai di scatto. In un attimo i nostri sguardi si incrociarono e potei scrutare il colore dei suoi occhi. Cavolo, erano molto belli, dovevo ammetterlo.
"Puoi aiutarmi se vuoi", mi disse lasciando la presa.
Non dissi niente, mi sedetti sulle scale fredde e iniziai a bagnare un panno con dell'acqua. Lui si sedette vicino a me e si lasciò pulire la faccia dal sangue ormai secco.
Disinfettai le ferite che aveva sul viso, non facendo minimamente conto alle smorfie di dolore che gli comparivano mano mano sulla faccia.
Poi afferrai le fascette e gli presi una mano, la poggiai sulle mie ginocchia avvertendo uno strano calore - era il sangue, pensai - e arrotolai per bene la fascetta intorno alla mano, facendo lo stesso anche con l'altra.
Non feci domande sull'accaduto, ero una tipa che si faceva i cazzi suoi quando non conosceva qualcuno. Mi sorrise debolmente.
"Grazie, davvero. Ti devo un favore", mi disse mentre si guardava le fascette sulle mani.
Mi alzai e lo aiutai piano a fargli fare lo stesso.
Non riuscivo a conversare con lui, e non riuscivo neanche a capire il motivo.
"Figurati. Buonanotte", gli dissi solo.
Lui annuì e fece lo stesso con me.
Lo guardai per l'ultima volta e poi chiusi la porta. Lo sentii scendere le scale e mi misi di nuovo a dormire, ma quella notte non se ne parlò proprio di chiudere occhio.
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Calvairate
RomanceAntonella vive a Milano, ma ben presto si troverà costretta a trasferirsi a Calvairate, in un quartiere vicino, contornato da palazzi e vite difficili.