1.5

1.2K 90 10
                                    

Aspettai Mirko per poco tempo, e da lontano potei già sentire il rumore della sua auto che si avvicinava sempre di più.

Manco il tempo di accendere una sigaretta che mi ritrovai la sua macchina davanti a me.
Mi salutò con un sorriso e mi invitò a salire.

"Puoi fumare qua", mi disse accendendosi anche lui una sigaretta.
Ritirai la mano con cui stavo per buttare la mia e me la riportai alla bocca.

"Come mai mi hai chiesto di venirti a prendere?", mi chiese.
"Così, nessuno ti ha obbligato però."
"Sì, lo so, per questo sono qua."

Sorrisi cercando di darlo poco a vedere, ma potei notare che lui lo stava già facendo da un po'.

"Andiamo in un bel posto?", gli chiesi.
"Dove vorresti che ti portassi?"
"In un posto carino e dove possiamo stare tranquilli."
Lui annuì e mise in moto accendendosi un'altra sigaretta.
Non gli dissi niente sul fatto che l'avesse appena finita, non volevo stressarlo.

Guidò per un po', e io guardavo fuori dal finestrino i palazzi, le piazzette, gruppi di ragazzi, gente che portava a spasso i cani.

Mi piaceva immaginare la vita delle persone solo in base al viso che avevano o all'azione che stavano compiendo.

"A che pensi?", Mirko fermò la vita di una signora divorziata e rimasta senza figli.
"Stavo immaginando la vita della signora col cane."
"Capisco, ha una bella vita?"
"Non tanto, il marito l'ha tradita e i figli sono andati con il padre, lei ha deciso di comprare un cane da compagnia e sta cercando di riprendere in mano la sua vita", raccontai come se fosse una mia amica.
"Ah, ho capito. E tu come te la immagini la tua vita?"

Nel frattempo eravamo arrivati a destinazione, c'erano dei padiglioni enormi e colorati, anche se con la luce della luna si vedeva ben poco.
Sotto ai nostri piedi potevamo già sentire la freschezza dell'erba di dicembre.

Mi aiutò a sedermi e lui fece lo stesso, mettendosi vicino a me. Mi faceva sempre un po' stranezza la presenza di Mirko accanto a me, in senso positivo.

"Quindi, come la immagini la tua vita?", mi chiese curioso e poco soddisfatto della scena muta alla precedente domanda.
"Non saprei sai?", mi stesi completamente a terra e guardai le stelle nel cielo, anche se c'era un po' di nebbia riuscivo comunque a distinguere quei puntini luminosi alti e lontani da noi.

"Vorrei una vita felice, questo si, diversa da come lo è sempre stata. Vorrei fare qualcosa di nuovo, vivere cose nuove, fare esperienze che ricorderò per sempre", cercavo di immaginarmi felice.

"Secondo me ti manca qualcosa", mi disse girandosi verso di me e guardandomi negli occhi.
"Sì, non hai tutti i torti. Ci sono tante cose che mi mancano, ma che non avrò forse mai più."
"Tipo?", voleva sapere qualcosa di me, era bello vedere qualcuno interessato a quella che fossi veramente io.

"Tipo mia madre, mi manca da morire. E anche mio padre, anche se un po' di meno. Mi mancano le mie amiche, la scuola pure, devo essere sincera. Mi mancano le stronzate fatte in classe, le sigarette fumate nei bagni della scuola, avere l'ansia per una verifica. Mi mancano i miei nonni, il loro affetto, il portarmi sempre con loro di domenica a passeggiare. Mi mancano le uscite di comitiva e mi manca la mia vecchia casa", conclusi il discorso fatto tutto d'un fiato, mi sentii libera da qualcosa. Mi ero sempre tenuta tutto dentro, e Mirko era riuscito a farmi scappare qualcosa dalla bocca dopo tempo.

Non disse niente, lo avevo lasciato senza parole e non avevo la più pallida idea di cosa stesse pensando di me.

"Perché non provi a ritornare a scuola?", mi chiese come se fosse la cosa più normale del mondo.
"Non fa per me, odio studiare. E poi questo sarebbe l'ultimo anno, tra meno di nove mesi sarà già finito tutto, che senso avrebbe riniziare per poi tornare sempre al punto di partenza?"
Annuì e mi sorrise.
"Forse hai ragione, è meglio così."

"Sai Mirko, io credo molto nel destino. Credo che se le cose succedono è perché devono succedere, se capitano cose brutte bisogna andare avanti e cercare di capire che se è andata così è perché qualcuno ci sta riservando altro."
"Sono d'accordo, anche io la penso così."

"E a te, cosa manca?", mi accesi una sigaretta e guardandolo potei capire che non era stata la domanda più adatta.

"Mi manca mio padre, anche se lo odio, anche se ha fatto tanto male a mia mamma e a me. Non ci sentiamo da tanto tempo, e l'assenza di un padre si sente, soprattutto se sei il figlio maschio e devi prenderti cura di tua madre senza l'aiuto di nessuno."
Gli accarezzai la spalla, e poggiai la testa su di essa, volevo prendermi un po' della sua nostalgia. Non volevo che stesse male.

Lui mi accarezzò la guancia e si alzò davanti a me, stendendosi quasi.
Si avvicinò così tanto da far sfiorare il suo naso con il mio. Gli sorrisi cercando di mantenere la calma, era la prima volta che ci trovavamo così vicini e da soli. Sembrava parlarmi con gli occhi.

Non fece nulla, si alzò da me e si accese una sigaretta.
"Cos'è successo a tua mamma?"
La sua domanda riportò a me tanti ricordi, di quando la arrestarono davanti a me e di quante notti passai a piangere per la sua mancanza e per la sua assenza.

"Se la sono portati dentro, ma a differenza di chi non vuole crederci, mia mamma era davvero colpevole", cercai di convincere più me che lui sulle cose che stavo dicendo.

"Ed ora è ancora lì?", mi chiese cambiando totalmente espressione.
Si era ammutolito e non era più riuscito a chiedermi altro.
"È uscita un anno fa, ma da quel momento in poi non ne ha più voluto sapere di me. Ha iniziato inaspettatamente a non presentarsi ai colloqui, nonostante sapesse benissimo che aspettavo ore ed ore anche solo per vederla", mi asciugai subito la lacrima che stava lentamente percorrendo la mia guancia.

"E non hai idea di cosa sia successo? Non hai provato a cercarla, a chiederle cosa fosse cambiato?"
"Sì che l'ho fatto, la sua risposta è stata che semplicemente si era accorta di non voler più vivere la vita monotona di tutti i giorni e aveva voglia di rifarsene una nuova, così, da un giorno all'altro."

"E tu ci credi?"
"No, io sono totalmente convinta che ci sia sotto il suo compagno. Diceva sempre di volersela portare via, che non l'avrebbe mai più vista nessuno per le strade sporche di Milano, e così è stato."

Stava piangendo anche lui, e in quel momento smisi di raccontare, non mi piaceva vederlo piangere.
"Non piangere però, basto io qua", risi nervosa.

Si asciugò le lacrime e mi sorrise, era uno di quei sorrisi che cercano di farti stare meglio, uno di quei sorrisi che ti mettono serenità e tranquillità, che riescono a farti calmare.

"E tuo padre, invece?", gli chiesi cercando di cambiare argomento.
"Non ne ho la più pallida idea. E comunque ti ho portato in questo posto per stare bene e divertirci, facciamo qualcos'altro."
Aveva ragione, era passata già un'ora e non avevamo fatto altro che piangere tutti e due.

Passammo il resto della serata a ridere e a scherzare, a farci il solletico come i bambini e a fantasticare ancora sull'immagine di noi del futuro. Io non mi piacevo tanto, ma lui si. Immaginava di cantare davanti a tantissime persone, e glielo augurai con tutto il cuore.

Ci sedemmo in macchina stanchissimi e con un sonno da far paura. Mi riaccompagnò a casa, e mi salutò baciandomi la guancia. Ero stata bene e un'altra serata del genere non mi sarebbe dispiaciuta. Mirko mi faceva stare bene, forse davvero valeva la pena provare ad essere felici.

Una volta in camera mi misi a letto, e cercai di addormentarmi. Non riuscivo, non smettevo di girarmi e rigirarmi sul materasso un po' scomodo.
Mi aveva fatto bene sfogare con Mirko, avrei dovuto farlo più spesso.

A: Mirko
sono stata bene con te, e mi ha fatto bene raccontarti un po' di me.

Da: Mirko
anche a me, molto.

scusate, ma quanto cavolo sono belli?😻😻

Calvairate Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora