La polvere. La polvere ovunque, che si attacca alle narici, che finisce nei polmoni, che improvvisamente riempie ogni cosa.
Tossisce, di nuovo. Maledetta polvere, maledetta soffitta, maledetta sua madre.
La prenderebbe a calci, tutta quella roba. Quelle cataste di cose inutili, ammucchiate alla rinfusa, come se, disperse tra decine di altre, avessero ancora uno scopo, o potessero ricordare qualcosa. E sua madre curva a frugare qua e là, un "eppure ero certa che fosse qui" borbottato ogni tanto, nel suo solito tono alto e cantilenante, per ingannare l'attesa.
«Guarda, te lo ricordi? Quando eri bambina ci giocavi sempre...»
Sua madre. Sì, sua madre è una creatura della polvere. Ha conservato tutta quella roba solo per poterci annegare dentro.
E sorride.
Sorride, adesso, guardando quelle cose che allora non le interessavano. Non aveva mai tempo, lei, per loro. Non per giocare, non per scherzare; e non sorrideva. Lo fa adesso, certo, come se quei tempi, allora, fossero stati tempi felici; come se valesse la pena ricordarli.
«Era il figlio di Rosetta, la signora che lavorava in pasticceria, te lo ricordi? Con quei capelli sempre davanti agli occhi. Che bravo ragazzo! Credo che adesso stia studiando in Australia, forse...»
«Era un tossico, ma'. Lo hanno arrestato.»
Ma non la ascolta; non l'ha mai ascoltata. Continua a frugare, a cercare: vecchi giocattoli rotti, qualche libro, scatole.
«Guarda questa bambola, che bella! Perché non la porti a Camilla? Potrebbe piacerle.»
«Camilla non gioca più con le bambole da anni, ma'.»
Pazienza. Bisogna portare pazienza.
«Ha solo dieci anni! L'hai fatta crescere troppo in fretta... ma voi di oggi siete così, tutti persi dietro ai computer e ai telefoni. Non avete più tempo per i vostri figli.»
«Ha compiuto quindici anni a maggio.»
Silenzio, ancora. Un attimo, giusto per cancellare le ultime parole, per fingere che non siano mai state dette.
«L'hai fatta crescere troppo in fretta, sì.»
Ignorarla. Bisogna ignorarla. Come sempre, come ogni volta; ingoiare e mandar giù, vivere una vita che sia quanto di più distante dalla sua.
«Ma', ma sei sicura che quell'album sia qui? Non vorrei che perdessi tutto il pomeriggio qui dentro. Ne ho fatto a meno per tanto tempo, insomma... Credo che non sia così essenziale.»
«Ho conservato tutto, io; la mia epoca era quella di chi conserva, sai, non quella di chi butta. Voi ormai non sapete più il valore delle cose. Ve ne liberate e basta.»
«Tengo da parte le cose utili.»
«Le cose utili! I ricordi non sono utili?»
«Ma quali ricordi? Cose che non sono mai successe?»
Un altro attimo di silenzio. Lungo, questa volta. «A volte mi chiedo come abbiamo fatto, vostro padre ed io, a crescervi così male. Ci abbiamo messo tanto impegno, con voi... ma evidentemente abbiamo sbagliato noi, o eravate sbagliate voi.»
E di nuovo a frugare tra le cose, sollevando nuvole di polvere.
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Cabaret
Short StoryIn alcuni dialetti, il cabaret è il vassoio di pasticcini. E questa raccolta è una varietà di storie, di lunghezze e gusti diversi: racconti storici, romantici, slice of life, horror e altre piccole cose.