«Vede, è una reazione piuttosto normale.»
La tizia con l’abito rosso mi guardava con la bocca mezza aperta. Rossetto, rosso anche quello. Denti, e quelli sarebbe stato meglio non vederli affatto. «Normale?»
«Normale. Normalissima, direi. Mi rendo conto che per sua madre in questo momento è tutto nuovo, nel senso che era abituata a non sentire, ad avere la testa ovattata, e l’arrivo improvviso del rumore...»
Mi interruppi. La tizia aveva spalancato ancora di più gli occhi e la bocca, come se le mie parole suonassero nelle sue orecchie simili a una specie di perepepè. «Ma mia mamma,» disse, scandendo bene le parole, «dice che ci viene la confusione alla testa. La confusione, ce l’ha presente?»
«Certo. Le sto dicendo che è una cosa normale, che sua madre dovrebbe avere solo un po’ di pazienza e abituarsi a sentire di nuovo tutto.»
«Ma io l’ho provato, pure io. E c’aveva ragione mia mamma, perché rimbomba tutto. Rimbomba. Buuuuuuum, buuuuuuum, vruuuuuuu. Una cosa impossibile.»
«Credo che possa convenire con me che non ha molto senso, per una persona dotata di udito nella norma, indossare delle protesi acustiche. Se non si sentissero i rumori amplificati, sarebbe come dire che non funzionano.»
«E io lo capisco, questo. Conviene, conviene. Ma un vruuuuuuu così, forte così, lo capisce? Non si può tenere l’apparecchio se fa sentire così.»
La vecchia, fino a quel momento, non aveva detto una parola. Se n’era rimasta seduta sulla sedia, lo sguardo perso nel vuoto. «Signora,» le dissi. Lei, ovviamente, non si voltò nemmeno.
«Adesso non ci sente,» disse la figlia. «Non c’ha l’apparecchio.»
«Se lo indossasse per un po’, comincerebbe a familiarizzare con il rumore...»
Perepepè, dicevano gli occhi della tizia. Mi zittii.
«Senta, dottore...»
«Non sono un medico, davvero.»
«Dottore, mia mamma non ci sente.»
«Lo so. È per questo che siete venute qui ad acquistare le protesi.»
Perepepè. «Mia mamma non ci sente, dotto’. Lo capisce?»
Annuii. Bene, assicurandomi di muovere il mento su e giù per almeno venticinque centimetri. Qualcosa che la tizia in abito rosso capisse.
«E ci serve l’apparecchio. Però non un apparecchio che fa rumore, perché quello che ci ha dato l’altra volta è una cosa impossibile. Vruuuuuuu, vruuuuuuu, buuuuum. Non così. Deve sentirci quando ci parlo, non tutto quel rumore.»
«Le assicuro che la protesi acustica che abbiamo fornito a sua madre è fatta appositamente per lei, per ovviare alla sua ipoacusia.»
Perepepè. La tizia in rosso aveva addirittura storto la testa di lato, e mi guardava con lo stesso sguardo con cui avrebbe potuto osservare un cane a tre teste. E l’idea di vederla alle prese con un Cerbero moderno non mi dispiaceva così tanto.
«Dotto’, ma mia mamma non vuole sentire i rumori. Vuole sentire le voci. Non il vruuuuuuu vruuuuuuu, capisce?»
«Temo che le due cose siano inseparabili,» dissi. «Magari lei non ci fa caso, ma in questo momento intorno a noi molte cose stanno facendo rumore.»
«Guardi, dotto’, che io ci sento benissimo. E le assicuro che tutto questo rumore non ci sta. Ve li fanno mettere pure a voi, questi apparecchi? Così vi assuefacete, o come si dice, vi fate assuefazione, si dice così?, a questo rumore.»
STAI LEGGENDO
Cabaret
Historia CortaIn alcuni dialetti, il cabaret è il vassoio di pasticcini. E questa raccolta è una varietà di storie, di lunghezze e gusti diversi: racconti storici, romantici, slice of life, horror e altre piccole cose.