«Non devi scegliere da sola», ti dice.
Tu stai lì, seduta a terra, la schiena contro le mattonelle del bagno. Hai ancora in mano quell'insulso bastoncino di plastica con le due righe rosa ben visibili, lo stringi senza nemmeno renderti conto.
«Eravamo in due», ti dice. E ha ragione, lo sai.
La testa ti scoppia, ti viene da piangere. Non sei fatta per fare la mamma. Non sei fatta per avere dei figli. Hai sbattuto con violenza contro una strada chiusa, nel labirinto della vita. Scelte. La vita, forse, è solo una questione di scelte. Non che tu abbia scelto poi molto. Non fino a questo momento, almeno.
*
Ha ancora paura del buio, ma la mamma non lo sa. Non sa che si raggomitola dando rigorosamente la schiena alla porta, che impone a se stessa di non tirare fuori la testa da sotto le coperte e non guardare le ombre, mai, nemmeno se sente qualche rumore. La mamma sa solo che ha ripreso a bagnare il letto, e questo la fa arrabbiare. La fa arrabbiare proprio.
La mamma non la picchia. Le ha dato uno schiaffo solo una volta, per una vicenda confusa, il giorno del suo sesto compleanno - lo ricorda bene, ma non ha ancora capito le dinamiche. No, la mamma entra in camera, si siede sul letto e le fa la predica. E a lei viene da piangere, perché alla sua età non dovrebbe più farsela addosso, e lo sa, ma non può farci niente. Perché la notte si mangia la luna e porta gli incubi, e gli incubi le fanno paura. Ma questo non lo sa, la mamma.
Non so che fare, Nicola, con quella bambina, dice sempre la mamma. E lo dice al papà, ma lui non risponde mai. Li sente parlare, ogni tanto, quando non dorme. Il papà dice che forse sarebbe meglio andare da un dottore. La mamma lavora e non ha tempo per i dottori. La mamma, allora, entra in camera e predica, come il prete alla messa.
Dovrebbe studiare musica, la bambina. Le fa bene, dice la mamma. E ogni venerdì pomeriggio le liscia i capelli con la spazzola - ha i capelli ricci, la bambina, e non vanno bene, su una bambina -, le mette addosso il vestito blu della banda di paese e la manda a studiare solfeggio dal maestro.
Quando torni, ti fermi dal signor Piero. E lei non vuole, ma non può dire niente. Si ferma dal signor Piero, quando la lezione finisce, si siede sul suo divano enorme. Il signor Piero le dà le caramelle. Il signor Piero accende la televisione e le lascia guardare i cartoni animati. Il signor Piero le si siede accanto e le infila le mani sotto i vestiti, e ogni volta è peggio, e lei sta male e le viene da vomitare, e la notte bagna il letto. Ma la mamma, questo, non lo sa.
Non so che fare, Nicola, con quella bambina. Le maestre si lamentano. Brava, sì, impara in fretta. Ma ha sempre problemi con i compagni. Ogni tanto qualcuno arriva a lamentarsi, lei picchia, lei tira calci. Ma lei li conosce, quei bambini. La seguono fino a casa, quando rientra da scuola. Dicono parole brutte, parole sconce. Qualcuno le tira perfino le pietre. E lei si nasconde sotto la cattedra, quando tutti escono a giocare in cortile, e immagina di viaggiare nel tempo o nello spazio. Da sola. Ma a lei piace giocare da sola. Sua madre, però, non lo sa. La manda fuori in giardino, quando è a casa, il piccolo giardino davanti alla stazione. Le piace. Le piacerebbe, se dall'altra parte non ci fossero le finestre del signor Piero. E allora si nasconde, si siede sotto il cespuglio e aspetta.
Non so che fare, Nicola, con quella bambina. Ed è per questo, forse, che se ne va. È passato del tempo, oggi compie quattordici anni. La nonna è morta da poco e non si festeggia. Non l'ha voluta nemmeno baciare, Nicola! - e lei rivede il viso giallastro e sfatto della nonna, malata terminale. Ma la mamma l'ha portata a comprare un nuovo paio di scarpe, per regalo, e sono delle scarpe da ginnastica, non le solite scarpine di cuoio che le fa indossare. È felice, forse. Ma la sera la mamma entra nella sua stanza e le dice che se ne va. E se ne va. E il papà si sveglia che ancora non sa nulla, e ha tante domande. E lei non sa rispondere. Non saprà mai rispondere.
E la mamma non lo sa, in quel momento, che quelle due righe rosa la spaventano a morte. Che sente la sua voce nelle orecchie - sei figlia di un preservativo rotto -, e che darebbe chissà cosa per non sentirla più. Che ha paura di vedersi allo specchio e vederla, trovarla riflessa nei suoi occhi. Teme di non saperlo fare, di non essere portata. Teme di diventare una madre come la mamma. Ma poi si alza in piedi, e si guarda allo specchio, e ti vede. Sei bella. Non le somigli poi tanto. Non sei lei, no. Sei tu. Lui si avvicina e ti abbraccia, avete già deciso. Forse, forse, forse siete già felici.
E abbandoni lei, diventi tu. E abbandono te, divento io. Un'ultima svolta, prima di uscire all'aria aperta. La luna sorride, nel cielo sereno, la siepe del labirinto è aperta a metà. Pochi passi. Pochi ancora.
STAI LEGGENDO
Cabaret
Historia CortaIn alcuni dialetti, il cabaret è il vassoio di pasticcini. E questa raccolta è una varietà di storie, di lunghezze e gusti diversi: racconti storici, romantici, slice of life, horror e altre piccole cose.