«Tutte stronzate.»
La luce va e viene, va e viene. Il salotto diventa verde, poi grigio, poi verde, poi grigio. Sempre uguale, ore e ore. La fottuta insegna al neon del negozio di fronte e il televisore del vecchio, davanti al divano. Noi, lampadine, niente. Non servono a un cazzo, d'estate, dice il vecchio. Fanno solo riempire la casa di insetti.
Cristo, se fa schifo. Un ammasso disgustoso di pessime abitudini. Sbracato, con solo le mutande addosso, nel tanfo dei piatti non lavati. I piedi appoggiati sul tavolino, gli occhi fissi su quel quiz di merda. Di merda come la birra che beve, piscio caldo direttamente da una bottiglia di plastica.
«Pa'», gli dico.
Nemmeno si gira. «Era Haring, cazzo!», sbraita, rivolto al televisore.
Il conduttore gli dà ragione. Le sa tutte, le risposte dei quiz, il vecchio.
«Senti...»
«Senti tu. Non me ne frega un cazzo, va bene? Il cantiere farà schifo come dici, ma se ti dà da mangiare, non ci sputi sopra, chiaro? Non ci vuoi venire? Va bene. Hai le tue ambizioni? Va bene. Ma sono tutte stronzate, e io non ho intenzione di starti dietro. Chiaro?»
Un altro sorso di birra calda, la mano che sfrega la bocca per pulirla e la fronte per asciugarla dal sudore. Mi dà quasi la nausea.
«Pa', il cantiere non fa per me.»
«E cosa fa per te? Sentiamo!»
«La musica.»
«Ah, cazzo, certo! Non ce ne sono abbastanza, di negri che suonano nelle stazioni della metropolitana?». Un altro momento di silenzio. Un altro sorso di birra, di nuovo la mano che asciuga il sudore. «Nel '37», dice, rivolto al televisore. Ha di nuovo ragione.
«Dan mi diceva che ha dei contatti, pa'...»
«Contatti! E dimmi, che ci fai con i contatti? Ti portano la spesa a casa? Pagano le bollette?»
«Magari non subito, ma con un po' di tempo.»
«Antananarivo», dice al televisore. Giusto, di nuovo.
«Pa', vorrei almeno provare. Lo so che magari ai tuoi tempi non c'erano certe ambizioni, cose così...»
«Ma che cazzo ne sai, tu, delle ambizioni!», sbraita, di nuovo. Tira un calcio alla bottiglia vuota e la fa ruzzolare sul pavimento.
«Pa'...»
«Eh! Pensi che non le avessi, io, le ambizioni?»
«Erano altri tempi.»
«Che cazzo ne sai, tu, degli altri tempi? Tu non c'eri. Io c'ero!». Apre un'altra bottiglia di birra e beve. Calda come piscio anche quella, deve essere. «Erano i sudisti. Cazzo, erano i sudisti!»
«Ti chiedo solo di avere pazienza per qualche mese.»
«Pazienza? Non sai di cosa stai parlando! Vi riempiono la testa di merda, a scuola. Ve l'hanno mai detto che fuori da quella porta c'è il mondo reale, eh? E che il mondo reale pretende che tu paghi le bollette, che dai da mangiare ai tuoi figli, che paghi l'affitto di un appartamento di merda in un quartiere di merda, eh?»
«Pa'...»
«Pa' un cazzo! Te l'ho detto, anch'io avevo delle ambizioni. Volevo fare il medico, pensa. Ero un fottuto negro in una fottuta scuola per negri, e avevo ottenuto una borsa di studio. Volevo fare il medico!». Si attacca alla bottiglia, deve averla scolata tutta, o quasi. «Poi arriva tua madre, ti lascia a me...»
Si zittisce. Non ha mai parlato volentieri di mia madre.
«Scusa, pa'.»
«Hai ragione, il cantiere è una merda. Ma io non ti volevo abbandonare. Avrei potuto farlo, eh. E alla fine dell'estate me ne sarei andato a studiare al college. Un fottuto negro in un'università per ricchi. Sarebbe stato tutto diverso.»
«Mi dispiace...»
Il vecchio tira su le spalle, torna a guardare la televisione. «Uno deve scegliere, a un certo punto. Lo rifarei», dice. Beve ancora un sorso generoso. «Rinunciare sembra meno una merda, se lo fai per una cosa importante.»
«Pa'...»
«Sai che? Vai. Vai a suonare, se vuoi». Un istante di silenzio. «Era Lemon, cazzo. Era Lemon.»
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Cabaret
Short StoryIn alcuni dialetti, il cabaret è il vassoio di pasticcini. E questa raccolta è una varietà di storie, di lunghezze e gusti diversi: racconti storici, romantici, slice of life, horror e altre piccole cose.