Capitolo 7

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Aria calda soffiava dai bocchettoni d'acciaio dell'auto, espandendosi lungo tutta l'estensione del veicolo, facendo contrarre più e più volte le fibre muscolari della schiena dell'uomo.

Perché il freddo doveva indiscutibilmente far parte di lui? 

Perché quel connotato era immodificabile e non vi era alcun modo di porvi rimedio?

Strinse le mani sulla pelle lucida del volante, fissando con insistenza la semisfera luminosa del semaforo: rossa, abbagliante, infuocata.
Solo quel colore gli bastava per rammentare i ricordi più remoti, risalenti a secoli prima e che divampavano in lui con la stessa forza delle fiamme degli inferi.
Lo ricordava perfettamente l'odore del sangue che zampillava dalla gola delle sue vittime umane, le innumerevoli punizioni a cui era stato sottoposto per quel gesto inconcepibile anche dallo stesso Diavolo; il dolore, le penitenze e l'incandescente fuoco che lo divorava nelle viscere quando era sottoposto ad esse, lacerando la sua gola fino a fuoriuscire da essa come lame affilate. 

E poi quello, il drastico cambiamento che l'aveva portato a presentarsi nel mondo umano sotto mentite spoglie, come se appartenesse a quella razza priva dell'essenza divina, di poteri, di doni.

Eppure avrebbe commesso gli stessi errori che lo avevano condotto a quella pietosa e misera fine, e l'avrebbe confermato e ribadito fino all'ultimo giorno della sua fine eterna, se mai ce ne fosse stato uno nel suo futuro. 

Scattò il verde e il primo clacson impaziente suonò dietro di lui, facendolo sbuffare annoiato mentre ingranava la prima, ma il suo piede dovette lasciare il pedale dell'acceleratore per evitare di investire l'unico passante che si stava affrettando ad attraversare le strisce pedonali, reggendo la spallina di una logora borsa di cuoio che gli pendeva su un fianco.

L'avrebbe insultato, Levi, quell'impacciato individuo che stava facendo sonoramente imprecare tutti gli autisti incolonnati dietro di lui, mentre si affannava a raggiungere il ciglio opposto della strada con il cappuccio del parka che gli rimbalzava sulle spalle.
Avrebbe volentieri abbassato con il pulsante il finestrino e offeso quel giovane maleducato che era troppo impaziente per aspettare il turno successivo.

Lo avrebbe fatto, se non si fosse trattato della sua anima affine che - spinta da quell'eccessivo istinto che aveva sempre contrassegnato quell'essere fin dalla sua creazione - quella fredda mattina lo aveva pedinato lungo il tragitto verso la sua sede,  costringendo l'uomo ad intimidirlo con gesti violenti per allontanarlo il più possibile da sé. 

Che ci fosse riuscito? 

Probabile, dal momento che sembrava che la mente di Eren faticasse a ricordarsi chiaramente di lui, quindi non avrebbe avuto senso insistere su una questione che, a rigor di logica, non aveva né capo né coda. 

Insomma, Levi si era mostrato tutt'altro che accondiscendente quando quel giovane aveva cercato nella sua espressione e nei suoi gesti qualcosa che gli mostrasse che, effettivamente, fossero legati da un destino impossibile da rinnegare.
Aveva fatto appello a tutte le sue forze per non entrare in quella caffetteria, quando l'aveva travolto come un incendio sotterraneo la consapevolezza che lui fosse vicino, finalmente o sfortunatamente, è il caso di dire.

Sei davvero tu? Fu la prima domanda che si pose, per poi chiedersi, in preda ad un panico feroce e spietato, per quale motivo Eren fosse lì.

Dunque era quella la sua punizione?
Vivere cosciente del fatto che non avrebbe potuto seguire la via del ritorno che lo avrebbe condotto da lui, lui e solo lui, l'unico amante della sua secolare esistenza, l'unico che avrebbe voluto al suo fianco, e all'inferno tutti gli altri!

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