Capitolo 11

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-L'artista!- strillò Eren, un saltello mosso dall'euforia e l'indice puntato verso il cielo, mentre l'altra mano era intrecciata saldamente con quella di Grisha.

-Da grande voglio essere un artista!- ripetè con esagerato entusiasmo, socchiudendo gli occhi al tocco delle rozze dita dell'uomo fra le sue ciocche scure.

-L'artista? Ma i bambini di solito non vorrebbero essere astronauti o poliziotti, per combattere il male?-
Aveva ribattuto il padre, inginocchiandosi di fronte al bambino e dandogli un innocuo pizzico sulla pancia. Strinse i pugni e alternò dei colpi in aria sorridendo fiero al piccolo, il quale lo osservava esterrefatto ed affascinato per la sua grinta.

-Sai, per essere un vero e proprio eroe. Eren l'eroe.- rise di gusto a quella battuta. -Non ti pare divertente?-

-No, papà!-
La risposta secca del castano aveva spezzato la genuina risata del più grande, ma d'altro canto se lo aspettava.
Eren era sempre stato incredibilmente più maturo rispetto agli altri bambini della sua età e, in verità, non l'aveva sorpreso affatto la scelta di quel mestiere ignorato dai suoi coetanei. In quella creatura si era manifestata sin da subito un'innata capacità creativa, la genialità che si incontrava con l'inconscio silente.

-Io voglio far contenta la gente, voglio farla piangere per la felicità! Fargli capire che c'è qualcuno che capisce come si sente, che non è sola.-
Ed eccolo che ricominciava ad assumere quel tono autoritario che proprio non si addiceva ad un fanciullo di sei anni, e più passava il tempo più
si domandava da chi avesse ereditato quel carattere granitico e una disillusione propria solo di un adulto.

-Farle, non fargli.- l'aveva ripreso bonariamente mentre si issava in piedi, la mani sulla zona lombare per quell'ostinato mal di schiena che lo punzecchiava da qualche giorno.

-Cosa?-

-Niente, figliolo, niente. Ed ora ridammi la mano che torniamo a casa.-

-Ma il parcogiochi-

-Non se ne parla!-

-Ma-

Alla domanda "cosa vuoi essere da grande", Eren Jaeger aveva risposto "un artista".

Di sicuro nessuno avrebbe pensato che, durante il suo percorso di vita, qualcosa, o per meglio dire qualcuno, gli deviasse d'un tratto la strada e gli indicasse una via d'uscita che non l'avrebbe mai più condotto sul sentiero principale.

-Un angelo.-

Prima che si trasferisse gli era stato ripetuto circa un centinaio di volte di far attenzione alle persone della vita reale, di quel mondo di cui Eren non aveva mai assaggiato propriamente l'essenza vera, acida, stomachevole.
E ora, invece, si ritrovava a discutere con un individuo che, fino a qualche istante prima, l'aveva scrutato con le pupille a fessura come quelle di un maledetto rettile, e si era costretto con tutte le sue forze a rispedire al mittente i succhi gastrici che gli erano risaliti fino alla bocca.

Cosa avrebbe dovuto rispondere in quella occasione, di fronte ad una scempiaggine del genere?

Un pazzo - perché non poteva non sembrare tale, Levi, in quel momento - lo aveva trascinato in un altro vicolo come quella mattina, e stava pronunciando frasi assurde e carenti di qualunque tipo di significato - e credibilità, in aggiunta.

-Non mi toccare! - gli aveva urlato a squarciagola il ragazzo, strattonando via quelle mani da cui si sarebbe fatto volentieri carezzare e vezzeggiare, se non fosse stato che colui che le possedeva era stato classificato nella mente di Eren come l'uomo più pericoloso in assoluto che avesse mai incontrato.
Dopo tutto quello che era successo, dopo ciò che aveva avuto modo di vedere nel suo studio e al bar, per un secondo gli era balenata l'idea che fosse il peggiore degli impostori, uno stratega che si divertisse a massacrare la gente psicologicamente e lentamente, perché Eren non poteva non sentire il suo senno fatto a brandelli, letteralmente trucidato e tartassato e massacrato da quell'estraneo.

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