Capitolo 17

372 47 58
                                    

Le cifre rosse spiccavano come gocce di sangue sulla carta bianca, ed ognuna di esse portava con sé il nome di un santo di cui gli umani lodavano il modus vivendi.

Ovviamente nessuno di loro sapeva che quegli individui erano angeli nelle carni di persone comuni, di cui maneggiavano le ossa come marionette.

Ma no, non era quello ciò su cui si stava soffermando Eren, non in quel momento almeno.

I numeri si susseguivano, accavallavano ed accumulavano sino a creare un pilastro che gli gravava sul petto, consapevole che si stesse solo ritardando l'inevitabile, e che presto qualcosa sarebbe successo.
E di certo il fatto che lo spirito angelico ormai avesse preso quasi del tutto pieni poteri di quel corpo, non giovava in quella situazione: a causa dell'udito potenziato di cui era disposto, ogni singolo scricchiolio o fruscio lo svegliava nel cuore della notte, e puntualmente non si trovava ad essere l'unico ad essere stato attirato dal rumore.

Levi era già vicino alla finestra, le iridi assottigliate e, in controluce, un movimento impercettibile di qualcosa sotto lo strato dell'epidermide che ricopriva le scapole, come se una biscia stesse strisciando sotto la pelle.
In quelle occasioni - quando sentiva fremere la muscolatura che gli avvolgeva il busto e riusciva ad individuare anche il più infinitesimale dettaglio oltre la finestra, sulla corteccia di un albero nutrito dalle acque del lago -, si rendeva inevitabilmente conto di trovarsi nella stessa condizione.

Eren contava i giorni che passavano come se ad ogni ora si stesse avvicinando ad un baratro, una ghigliottina da cui non sarebbe sfuggito, ma che avrebbe affrontato a braccia aperte e con gli occhi rivolti a quei carnefici. Era un incubo da cui era consapevole di non poter uscire, e sogni tinti di nero accompagnavano un sonno disturbato ogni notte, trascorsa quasi del tutto insonne.

E durante una di quelle notti aveva dato voce ad un pensiero che lo mordeva continuamente, urlando e strepitando con affanno nella testa.

-Scomparirai?-

Domandò, la voce ridotta ad un flebile sussurro che risuonò nella stanza silenziosa, le palpebre semiaperte nell'intento di reggere una stanchezza che gravava su di esse come piombo.

-Dovrei?-

Un risolino roco attirò le iridi di Eren sulle labbra ricurve dell'uomo, fissandole da sotto le lunghe ciglia scure per scattare una foto di quel momento unico, conscio che quell'accenno di sorriso sarebbe scomparso alla stessa velocità che aveva impiegato per fare la sua comparsa.

-Potresti. I sogni lo fanno, no?-

Era assurdo come, sino a qualche settimana addietro, il suo mondo fosse stato costituito da giorni insapori e l'aspettativa di incontrare qualcuno che, seppur vagamente, assomigliasse alla silhouette che appariva nei suoi sogni, preziosa ed inarrivabile.

E invece ora era divenuto parte integrante del sogno in questione, e quell'uomo era lì, al suo fianco, in cerca di parole da dire che potessero rassicurare il compagno che no, quello non era un sogno.
Ma neanche la felicità.

Quella mattina aveva sollevato le palpebre turgide di un pianto silenzioso di cui, sperò, Levi non fosse a conoscenza, ed aveva spalancato la porta della casa per contemplare la superficie del lago Teufelssee, embrione di un amore per cui avrebbe combattuto in ogni vita che avrebbe ricevuto in dono.

Mani tiepide affondate nella larga felpa grigia, scrutava i cerchi concentrici che si diramavano sul cristallo liquido, in silenzio.

Cosa avrebbe dovuto fare per trovare una quiete che li aveva abbandonati da tempo immemore?

Non lo sapeva, e forse non l'avrebbe neanche mai raggiunta.
Ma anche se durante la sua intera esistenza il dolore l'avesse preso in ostaggio, lui avrebbe pagato quel costo, se ciò avesse significato restare con il demone, ora a caccia nella foresta per poter sfamare entrambi.

OverworldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora