Capitolo 15

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Il soffio lieve esalato dalle labbra cianotiche di Eren sfumò in un sospiro trattenuto, un singhiozzo malcelato che sfuggì alla bocca piena e che fece raggelare Levi sul posto, ogni fibra muscolare paralizzata ed in attesa di assistere alla reazione del ragazzo.

Il respiro cadenzato dell'angelo fu spaccato ancora una volta, spezzato in due da quei crudeli ricordi che stavano riaffiorando troppo rapidamente, spari di pistola che lo colpivano nel costato senza sosta, ma che non lo smuovevano minimamente dalla posizione rigida ed anomala che aveva assunto: la colonna vertebrale inarcata in avanti, quasi come se volesse offrire al compagno la libertà di usufruire di quanta più carne possibile per riportarlo alla realtà, le pupille risucchiate dalla sclera bianca e la bocca spalancata in un urlo sordo.

E poi il busto di Eren si rialzò di scatto, una boccata d'aria che sembrava essersi incastrata in gola, e poi ancora una volta e di nuovo una, gesti meccanici come una bambola disfunzionale che simulavano una crisi respiratoria, dita invisibili che gli serravano la trachea in una morsa salda e ferrea.

-Eren!-

Levi gli artigliò le spalle con forza, senza curarsi neanche per un istante del fatto che quel corpo non era lo stesso dello spirito angelico a cui si era legato fino alla fine del tempo, dell'esistenza umana, della vita stessa di ogni singolo essere. Ed era per quel medesimo motivo che le sue paure di sbagliare, da secoli imprigionate in una cella angusta e maleodorante, ora che erano libere di scagliarsi contro il loro padrone lo stavano sbrandellando senza pietà, dilaniandogli l'anima oscura colpevole di aver messo in pericolo l'esistenza di quella creatura ancora una volta.

Cosa aveva fatto? Senza considerare le condizioni fisiche in cui vigeva il suo amato, aveva richiamato a gran voce un'esistenza che non si addiceva a quel corpo, che sarebbe stato polverizzato non appena l'angelo avesse sentito la necessità di riappropriarsi della sua forma fisica.

Affondò le unghie nelle spalle tornite del castano, scuotendolo una, due, tre volte, ma l'ostinata agonia che stava lacerando Eren dall'interno non lo volle lasciare neanche per un istante, neanche quando Levi gli avvolse il volto con le dita, carezzandogli piano le gote soffici nel disperato tentativo di placare quella belva inferocita.

Cosa avrebbe dovuto fare? Di certo non sarebbe potuto ricorrere al pronto soccorso, visto che ciò con cui stava avendo a che fare era qualcosa che trascendeva la conoscenza umana, la sapienza di quella specie tanto gracile quanto nociva.

Attendere? Ma attendere cosa? La morte di Eren umano, o la rinascita di Eren divino?

-Eren! Eren ti prego non lasciarmi! Torna da me, Eren, non lasciarmi cazzo!-

Strinse saldamente il retro del maglione sgualcito del ragazzo, ancora preda di violenti e incontrollabili spasmi, e lo spinse contro il suo petto, le mani ora affondate nella zazzera scura mentre nascondeva il viso del compagno nell'incavo del suo collo, calde ed impietose gocce di cristallo che scivolavano rapide ed irregolari sul suo volto sino ad inumidire la pelle marchiata ed insanguinata del giovane.

-Ti scongiuro, non lasciarmi di nuovo. Perdonami Eren, perdonami!-

Tremava, Levi, le dita intrecciate con le ciocche scompigliate e profumate, singhiozzi acuti che straziavano i suoi polmoni ogni qualvolta sentiva il giovane patire la carenza di ossigeno nel corpo, impietrito fra le sue braccia come un macchinario in avaria, un automa, una maledetta sagoma e niente di più. Ma Levi l'avrebbe trattenuto contro il suo petto anche se fosse stato esclusivamente quello, anche se fosse stato privo della sua linfa vitale e si fosse limitato ad essere un contenitore vuoto, un effimero ed inutile manichino.

Come avrebbe potuto solo lontanamente pensare che lasciarlo andare fosse la cosa giusta?

E lentamente quegli aspri singhiozzi cessarono i loro colpi, rilasciando il petto del giovane così come si erano avvinghiati ad esso qualche minuto prima, il collo che lentamente si rilassava sulla spalla del maggiore ed i muscoli contratti della schiena che dichiaravano la resa, di fronte a quello spietato attacco inflitto loro.

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