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Sento le palpebre pesanti e la mente confusa.
Più che confusa la paragonerei ad un vaso.
Si.
Quei bei vasi che aveva mamma, i quali erano sempre pieni di perline di acqua che raggiungevano l' orlo di esso.
Io e Davide ogni volta rubavamo quelle palline di gel per giocarci, tanto mamma non lo avrebbe mai scoperto perché era sempre molto pieno.
Mario mi accompagna verso casa, penso voglia portarmi da Davide dal momento in cui al posto di girare a destra verso casa mia tiriamo dritto verso casa loro.
Ad un certo punto sento la necessita di rispondere a quella domanda scomoda che mi aveva  fatto precedentemente Mario.
B: credo di non dormire bene da un pó
M: questo lo avevo immaginato.
B: e perché allora me lo hai chiesto?
M: perché se fossi ubriaca o fatta mi avresti risposto subito di si.
Percorriamo il tragitto in silenzio. Lui guarda avanti con lo sguardo perso nel vuoto, io mi concentro sulle sue mani sui miei fianchi.
É una bella sera, una di quelle sere dove l' unica cosa che c' é da fare é ammirare l' elegante ballo delle stelle.
B: perché mi hai umiliato prima, alla discoteca?
M: non ti ho umiliata.
B: invece si, mi hai dato della puttana. Cosa che , tra parentesi, non sono.
M: la tua parola contro la mia.
Mi fermo, indignata.
Scollo dalle spalle il suo cappotto e glielo restituisco, forse in modo un pò troppo brusco,
Giro i tacchi e cammino a passo spedito verso casa mia.
Mario mi urla da lontano - dai non fare la bambina! - ma lo ignoro e supporto la mia idea iniziale di tornarmene a casa.
Lui non fa niente, sta fermo li con il cappotto in mano.
Ho paura a girare di notte per questi quartieri, ma lo nascondo bene.
L' aria si fa più fresca e, a malincuore, sento la mancanza del capotto di Mario.
Arrivo a casa, fortunatamente Chiara sta giá dormendo.
Decido di abbandonarmi al tepore del' acqua della doccia e dimenticare le ultime 8 ore.
Spero che Davide gli metta in chiaro a Mario che non sono ciò che lui pensa

La chiamavano CalvairateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora