1. Il tizio del marciapiede

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Il turno è quasi finito finalmente! Non ce l'avrei fatta più a lavorare là dentro con questo caldo e, soprattutto, con la voglia di tornare a casa per suonare la mia adorata tastiera nuova.

Controllo l'orario sul display del cellulare e tiro un sospiro di sollievo, pensando che mancano solo dieci minuti e poi potrò essere libero.

"Ermal, se vuoi puoi andare. Oggi non c'è tanta gente e dieci minuti non faranno la differenza" la voce di Marcello, il mio capo, attira la mia attenzione. Lui è stato uno dei primi ad accogliermi, appena arrivato qui a Roma dall'Albania e si è preso cura di me quasi come se fossi suo figlio.

È un uomo di settant'anni e, dopo aver divorziato ben due volte, ha deciso di restare single per scelta. Io mi trovo benissimo a lavorare nel bar che la sua famiglia gestisce da generazioni.
"Una volta qui c'era di mio padre, poi mio nonno e ancora prima il mio bisnonno!" Ripete sempre orgoglioso.

"D'accordo, finisco con questi e vado" gli sorrido, continuando ad asciugare i bicchieri che ho appena tolto dalla lavastoviglie.

Dopo aver sistemato l'ultimo bicchiere sulla mensola dietro al bancone, mi dirigo verso il bagno riservato al personale di servizio. Tolgo la maglietta con il logo del bar, per indossare i miei vestiti e, mentre lo faccio, mi guardo allo specchio.

Mi accorgo solo adesso che stamattina mi sono procurato un piccolo taglio sullo zigomo, nel tentativo di radermi la barba di fretta, perché ero in ritardo.

Sempre il solito sbadato, Meta. Complimenti!

Recupero la mia borsa con i libri dell'università dal ripostiglio e torno in sala per salutare Marcello.

"Ciao Marcello io vad..." distolgo lo sguardo solo per un attimo e mi accorgo che all'angolo della sala è seduto lui.

Si, deve essere lui per forza, non può essere un sosia o qualcuno che semplicemente gli assomiglia. È lui, lo riconoscerei tra mille persone.

Per tutti gli anni del liceo abbiamo fatto la stessa identica strada. Solo che io mi fermavo davanti a scuola, mentre lui se ne andava chissà dove.
Non ho mai avuto il coraggio di parlargli, anche se ho sempre pensato che sarebbe stato fantastico farlo.

Ma lui non dava mai confidenza a nessuno, nessuno lo ha mai visto con una ragazza. Tant'è che si vociferava fosse gay.
Non che la cosa mi dispiacesse, ovviamente.
Solo che, ogni volta che lo guardavo, avevo come l'impressione che io e lui fossimo destinati a condividere un pezzo di vita insieme e, più passavano le stagioni, i mesi, gli anni, più mi auto convincevo di questa cosa.

E anche ora che sono passati cinque anni dall'ultima volta che l'ho visto, quella strana sensazione è tornata.

È sparito dall'oggi al domani e, nonostante sperassi con tutto me stesso di incontrarlo su quel marciapiede, come ogni mattina, con il tempo mi ero convinto che non lo avrei più rivisto. E invece eccolo qui, all'angolo della sala, nel bar in cui lavoro da ormai tre anni, con  un menù in mano.

"Ermal, ma che stai a fà?" Mi chiede Marcello, sollevando un sopracciglio.

"Niente, mi ero distratto" taglio corto.
Lui mi guarda ancora, forse non è molto convinto di ciò che gli ho appena detto, ma non importa.

"Allora io vado, eh. A domani!"

Una volta uscito, di nascosto, osservo dalla vetrata che Marcello gli sta parlando.
È lo stesso ragazzo di cinque anni fa, forse un po' più cresciuto, con qualche tatuaggio in più sulle braccia e un po' più di muscoli.

Alle dita ha degli anelli vistosi, resto incantato dal movimento delle sue mani che si muovono, mentre discute con il mio capo e gesticola animatamente.
Devo fare qualcosa.

Estraggo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e scrivo un messaggio a mia sorella Sabina.

"Sab, c'è Fabrizio"


"Fabrizio chi?"

Alzo gli occhi al cielo. Santa ragazza, devo sempre spiegarti tutto?

"Come Fabrizio chi? Dai, in fondo ti ho parlato di lui per soli cinque anni!"

"Aspetta, quel Fabrizio?"
Posso immaginare la sua faccia mentre risponde al mio messaggio e non posso fare a meno di ridere tra me e me.

"Lui è l'unico Fabrizio"
ribadisco.

"E che cazzo stai aspettando?"

Mia sorella è sempre stata una ragazza molto fine... Si, non trovo un altro vocabolo per descriverla.
So che in fondo lo fa per il mio bene, mi ha sempre detto che, se avessi avuto modo di rivederlo, non avrei dovuto fare come in passato, ma sarei dovuto andare da lui e parlargli.

"E se faccio una figura di merda?"

"Ermal... ma una in più o una in meno, che importa? Meglio una figura di merda che nessuna figura. Muovi quelle chiappe sode che ti ritrovi e vai a parlargli"

Mh, rassicurante e nello stesso tempo anche molto saggia.

Rimetto il cellulare nella tasca dei pantaloni, prendo un bel respiro e ritorno nel locale, dirigendomi al tavolo di Fabrizio.
Sento l'agitazione salire alle stelle, non appena incrocio il suo sguardo pensieroso. È la prima volta in assoluto che gli rivolgo la parola e so già che penserà:"e ora che cazzo vuole questo?"

Alza appena lo sguardo non appena gli rivolgo la parola per dirgli:"scusa, posso?" Indicando il posto vuoto di fronte a lui, per fargli capire che voglio sedermi.

Lui fa cenno di sì con la testa, guardandomi con un'espressione curiosa o forse divertita.
Mi sudano le mani e sono costretto a strofinarle più volte sul tessuto dei pantaloni lungo le mie gambe per asciugare il sudore dovuto alla tensione del momento.

"Tutto bene?" Gli domando, cercando di ripetere mentalmente i convenevoli di una semplice conversazione.

Lui continua ad annuire, senza proferire parola.
Mi scruta con i suoi occhi neri e io sento addosso tutta la pressione di quello sguardo.

"Mi ricordo di te, tu sei il tizio del marciapiede"
Dice poi, facendomi trasalire.

Quindi lui ricorda... no, non posso crederci! Pensavo, e speravo, che avesse rimosso quel momento così imbarazzante e invece...

"Non guardarmi in quel modo! Diciamo che gli anni della scuola per me non sono stati affatto semplici, ma quella mattina ho riso tantissimo" mi confessa, accennando un sorriso.

"Cioè, intendi quando ci siamo praticamente scontrati e il cartellone che avevi fatto per la professoressa Businelli è andato a finire nella pozzanghera?" Gli chiedo incredulo.

"Si... è stata una delle poche volte che mi ero impegnato a fare qualcosa per la scuola ed è finito nel fango. Credo fosse un segno" solleva le spalle.

Segue un momento di silenzio imbarazzante, in cui io resto immobile a guardarlo mentre beve un caffè americano e lui sembra avere lo sguardo perso nel vuoto.
"Perdonami, ma io non ricordo il tuo nome" dice, di punto in bianco.

"Oh, io sono...Ermal" gli dico, porgendogli la mano.

"Ermal..." ripete il mio nome, sorridendo. "Hai da fare qualcosa dopo?"

Credo proprio che la mia tastiera nuova dovrà aspettare

Spazio autrice
Quest'estate, mentre scrivevo Saudade, avevo anche qualche altra idea. Così, tra un pomeriggio in spiaggia e l'altro, ho iniziato a scrivere questa storia e adesso passerò in revisione ogni capitolo per poi pubblicarlo. Dopo le ultime due storie, penso sia giunto il momento di pubblicare anche questa e metterla a vostra disposizione, sperando con tutto il cuore che vi piaccia, come vi sono piaciute le altre due e che non vi deluda mai.
Grazie per il traguardo delle due storie precedenti, soprattutto per Saudade, che avete letto e amato in tanti, ma anche per "La felicità" che è stata seguita da meno persone, ma ho comunque apprezzato i vostri commenti che terrò sempre con me, impressi nel mio cuore.
Adesso si ricomincia con una nuova avventura. Gli inizi di solito mi fanno paura, ma per una volta voglio pensare positivo!

Far away-MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora