𝐗𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐑𝐢𝐛𝐞𝐥𝐥𝐢𝐨𝐧𝐞

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Era quasi l'ora di pranzo quando finalmente Casey volle scendere al piano di sotto insieme ad Irene, deciso a voler parlare con il signor Tarren

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Era quasi l'ora di pranzo quando finalmente Casey volle scendere al piano di sotto insieme ad Irene, deciso a voler parlare con il signor Tarren. Per quanto avrebbe voluto restare in pigiama, lei gli aveva sconsigliato di farlo, dato che ogni cosa poteva esser decisiva per ingraziarsi Simon, così eccolo lì, vestito di tutto punto e seduto su uno dei costosi divani nell'ampio salotto in attesa che il signor Tarren si facesse vivo.

Irene sedeva accanto a lui e stranamente anche Dominic era presente. Doveva essere in ansia e teso come una corda di violino visto che in mano reggeva un bicchiere di whisky mentre se ne stava appoggiato col gomito all'imponente camino di marmo nero, sorretto ai lati da silenziosi e malinconici putti. Ormai Casey conosceva abbastanza bene quell'uomo da sapere che si rivolgeva all'aiuto dell'alcool solo quando era davvero nervoso.

Non era facile per lui accettare la sua presenza lì, in quel preciso momento. Sin da quando era giunto nel soggiorno, Casey fissava Dominic come aspettandosi da un momento all'altro che il giovane Tarren tornasse a picchiarlo o a fare qualcosa di molto peggio. Ogni volta che lo guardava riviveva ogni istante di dolore e umiliazione che aveva dovuto tollerare per mano sua.

Irene gli strinse una spalla, poi gli passò quella stessa mano sulle scapole come a voler farlo restare calmo. Ovviamente era in collera con suo fratello, non poteva esser diversamente nel momento in cui Casey, appena lo vedeva, si irrigidiva come una statua e a volte non riusciva a trattenersi dal tremare. Benché quel ragazzo fosse stato persino marchiato da Dominic, ciò non era sufficiente a seppellire la sofferenza e l'avversione. Non era sufficiente mordere un Indigo o un Omega per far sì che egli dimenticasse di colpo di esser stato sottoposto a ripetuti atti di violenza fisica e psicologica. Un tempo a nessuno sarebbe importato, ma in epoca moderna simili trattamenti erano inaccettabili e disgustosi. Non si poteva più forzare un Omega o un Indigo a rimanere accanto al proprio aguzzino soltanto per via di uno stupido marchio sul collo. Nessuno poteva imporre loro di diventare proprietà del prossimo soltanto in base a una cicatrice, a un semplice morso.

Pochi, poi, sapevano quanto di per sé l'atto del marchiare fosse vissuto in maniera molto differente dalle parti in causa: per un Alfa corrispondeva al risveglio di un piacere animale, arcano e viscerale, soddisfaceva il loro istinto bestiale che li induceva a voler prevaricare sul prossimo sempre e comunque, ma per un Omega, ad esempio, era doloroso, specialmente se il marchio non veniva procurato in modo consenziente e, ciliegina sulla torta, nel bel mezzo di un doloroso amplesso. Malgrado le malelingue, un Omega provava piacere durante un rapporto carnale solamente se era il primo a desiderarlo. Era un falso mito che quando un Omega era in calore questi permettesse a chiunque di strapazzarlo come più desiderava. Una violenza rimaneva una violenza e neppure gli ormoni impazziti riuscivano a nascondere simili orrendi atti. La questione del marchio era estremamente delicata, bisognava avere un'intesa di base per rendere un momento del genere speciale e tollerabile per un Omega, il quale andava rassicurato; bisognava rivolgerglisi con parole dolci e gentili, andare per gradi in modo da non procurargli traumi a lungo termine, fargli capire che era al sicuro, che non si voleva fargli del male. Se ciò non veniva fatto, ecco che si finiva come Casey e Dominic: preda e predatore, vittima e carnefice, anziché amante e amante, compagno e compagno.

LEÍRON - The Alphaga Series| 1# [Omegaverse]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora