Prologo

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Mi risvegliai in quella stanza bianca, con le pareti bianche e i mobili bianchi, se il mio viso non fosse stato inondato di lacrime avrei pensato che mi trovavo in un luogo inquietante dal quale avrei voluto scappare, ma sapevo che quello era il posto in cui mi avevano salvato la vita, strappandola alla morte pochi secondi prima che fosse troppo tardi.

In quel momento desideravo sprofondare nuovamente nell'effetto dell'anestetico, che mi aveva tenuta nel mondo dei sogni per diverse ore, ma sapevo che non me ne avrebbero somministrato un'altra dose.

Sentii improvvisamente due battiti sulla porta e mi asciugai velocemente le lacrime dagli occhi per nasconderle ai visitatori; nemmeno un secondo dopo nella mia stanza si riversò la mia intera famiglia: mio padre, mia madre e i gemelli.

<<Principessa, come stai?>> domandò mio padre piuttosto preoccupato mentre si avvicinava al mio letto, era piuttosto pallido nonostante la sua carnagione solitamente tendesse sempre al dorato e delle occhiaie erano evidenti attorno ai suoi occhi scuri, inoltre, mi sembrava quasi che i suoi capelli avessero iniziato a tendere più per il grigio che per il castano.

<<Sono stata meglio>> forzai un sorriso mentre lo dicevo, nella mia vita sentivo che non c'era più un vero motivo per sorridere come un tempo.

Tuttavia, dovevo continuare a sorridere, non dovevo abbattermi e non dovevo far preoccupare i miei genitori. Ma, perché dovevo essere io quella forte, se nella mia vita non avevo un valido motivo per continuare a lottare?

Mi sentivo come un soldato che combatteva per conquistare una nazione che era ormai ridotta in milioni di pezzettini, un soldato che aveva iniziato una guerra sognando di conquistare uno stato forte, ma quando era a un passo per raggiungerlo, lo avevano fatto esplodere. E ora non c' era più nulla di quello stato forte che aveva sognato.

Ecco, io ero quel guerriero, però non lottavo per dare il mio nome a una città... no, io lottavo per il mio sogno, il mio sogno che era stato distrutto e fatto in miliardi di pezzettini dispersi ormai per tutto l' universo.

E allora perché continuavo a lottare?

Non sarebbe stato meglio sprofondare nel sonno eterno piuttosto che affrontare una vita vuota? Se non si aveva un obiettivo, a cosa serviva vivere?

<<Ci sei?>> mi domandò Ashley posando la sua mano sulla mia spalla e questo gesto mi riportò nella mia triste stanza d'ospedale.

<<Certo>> risposi cercando di convincere più me stessa che loro e tutti se ne resero conto, però, con mio sollievo, nessuno lo disse ad alta voce.

<<Mamma stava dicendo che nel giro di pochi giorni ti dimetteranno, quindi presto avremo di nuovo una pulce fastidiosa in casa>> scherzò Asher sperando di ricevere una qualche mia reazione, e avrei reagito se non mi fossi trovata in quella spiacevole e particolare situazione.

<<Hanno detto qualcosa sulle mie gambe?>> quando finalmente diedi voce al mio più grande tormento, improvvisamente, tutti decisero di dare importanza al pavimento; facendo attenzione a non distoglierne lo sguardo o ancora a non incrociare i miei occhi.

<<Sputate il rospo>> sbottai alla fine, sapendo che tutti avevano una risposta, ma era così terribile che nessuno me la voleva dare.

<<Piccola...>>

<<Per favore non chiamatemi piccola come se fossi una bambina di due anni, ho quasi diciotto anni e sono quasi morta, sono sicura che riuscirò a sopportare la verità per quanto essa possa essere terribile.>>

Non ne ero del tutto sicura, ma la mia ardente necessità di sapere tutto sul mio stato di salute vinceva su tutto il resto.

<<Non si hanno certezze, per ora hai perso la mobilità nelle gambe, forse potrai tornare a camminare, però...>>iniziò mia madre e anche se lasciò la frase in sospeso, sapevo cosa volesse dirmi: però non sappiamo  se potrai tornare a danzare.

In quel momento Asher si avvicinò piano a me, ma lo bloccai prima che potesse parlare.

<<Non dirlo>>

<<Non sai nemmeno cosa sto per dire>> si ribellò e io sospirai.

Poi imitando il tono che sapevo avrebbe usato, dissi ciò che immaginavo mi avrebbe detto: <<Stai tranquilla, El. Andrà tutto bene, si sistemerà tutto>>

Mia madre cercò di prendermi la mano, ma io la ritrassi.

<<Per favore, lasciatemi sola>> aggiunsi sentendo che non sarei riuscita a trattenere le lacrime ancora a lungo, non sembravano molto convinti della mia richiesto.

 <<Per favore>> dissi in tono supplichevole e per mia fortuna decisero di ascoltarmi.

Non riuscivo a pensare all' idea che avrei dovuto dire addio alla danza, perchè era ciò che mi dava la vita.

Non danzavo nella vita, vivevo mentre danzavo. Solo quando ero sulle punte mi sentivo piena di vita.

La danza mi aveva fatto capire cosa fosse la vita, me l'aveva donata... tuttavia, era la danza che me l'aveva quasi sottratta, potevo amare ciò che mi aveva quasi ucciso?

Spazio autrice
Ringrazio la bravissima -DisastrosaMe- per la bellissima copertina.

Se  siete curiosi di conoscere meglio Eloise e Asher, vi consiglio di proseguire la lettura; se vi è piaciuta potete sostenermi con una stellina o un commentino, se non vi è piaciuta, potete comunque fare un commento in cui mi dite cosa non vi ispira. 

Qualsiasi opinione costruttiva è ben accetta.

Spero di vedervi ancora,

Un bacio, 

MJ

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