Percy
- Che intendi? – chiesi
- Quando tua madre mi ha chiamato dicendo che non poteva venire a prenderti ero dal medico di famiglia. Mi avevo chiamato per una cosa che sospettava e che tu mi hai appena confermato – raccontò papà sedendosi vicino a me.
- Spiegati non tenermi sulle spine – dissi sempre più agitato, il tono che stava usando non mi piaceva per niente.
- Il dottore ha detto che non era normale che ti era venuta la febbre così alta e così all'improvviso. I sintomi che mostravi erano quelli della semplice influenza, ma qualcosa non tornava – sospirò per fare una pausa- Ma si alternavano momenti in cui stavi malissimo e altri che stavi bene e quindi è arrivato ad una conclusione, che come ti ho detto prima tu hai confermato –
- Cioè a che conclusione? Che cosa ti ha detto? –
- Dove ti fa male Percy? – mi chiese senza rispondermi
- Tutto il lato sinistro del petto e il fianco, sinceramente durante l'influenza sentivo dolore alcune volte ma non ci ho dato troppo peso. Adesso però non posso nemmeno muovermi che fa malissimo – spiegai
Mio padre si passò una mano sugli occhi e sulla fronte, segno che era preoccupato e che quello che stava per dire non mi sarebbe piaciuto come risposta.
- Il dottore ha detto che forse ti si è infiammato un polmone. Adesso andiamo in ospedale così ti fa una radiografia e vediamo se è vero. Se la cosa non è troppo grave le medicine dovrebbero risolvere il problema facilmente –
Lo guardai con gli occhi sgranati portandomi una mano sul petto dove sentivo dolore. Era assurdo! Capitavano tutte a me!
Non avevo il coraggio di chiedergli che sarebbe successo se la cosa era grave. Poi una consapevolezza mi balenò nella mente, mi venne in mente che aveva detto che era venuto lui perché mamma non poteva venire, il che significava che il permesso per uscire doveva farmelo lui.
Cominciai a scuotere la testa con forza. No! No, no, no! Non poteva essere vero, non potevo essere così sfortunato.
- Percy calmati, lo so a cosa stai pensando, ma non c'è altra soluzione – mi disse prendendomi il volto tra le mani.
Non avevo la forza di alzarmi, non avevo la forza di scansarmi, la vista mi si annebbiava per il dolore e intanto mi veniva da piangere. Quattro anni, quattro maledetti anni ed era andato tutto bene e ora per una stupida malattia tutti in quella scuola avrebbero scoperto chi ero in realtà.
Mio padre mi prese e mi strinse a sé con forza.
- Mi dispiace, mi dispiace tantissimo. Per tutto, per averti costretto a nasconderti, per non essere stato presente e per non aver avuto il coraggio di lasciare quello che avevo creato per stare con te e con tua madre. Non mi sono mai accorto che la cosa più preziosa che avevo era quel bambino dagli occhi svegli, furbi e vivaci. Perché la cosa più preziosa che ho, sei tu figlio mio – disse continuando ad abbracciarmi.
Non resistetti, ricambiai l'abbraccio e affondando il viso nel petto di mio padre cominciai a singhiozzare. Il dolore stava per farmi svenire, ma non mi importava. Basta nascondersi, basta negare l'evidenza, avevo bisogno di mio padre più di quanto avessi mai ammesso, avevo bisogno di sentirlo al mio fianco, avevo bisogno delle sue carezze e dei suoi abbracci.
- Scusa, scusa se ti ho sempre allontanato da me, scusa se sono stato uno stupido – dissi tra le lacrime – Ti voglio bene, ti voglio bene papà –
- Shh. calmo, sta tranquillo, va tutto bene. Ti voglio bene anche io, figliolo- disse accarezzandomi la testa e i capelli. Aveva la voce rotta, come di chi sta trattenendo le lacrime.
L'abbraccio e le parole di mio padre mi avevano quasi fatto dimenticare il dolore al petto, ma quando cominciai a tossire lo sentii più forte di prima, mentre uno strano sapore metallico mi riempiva la bocca.
- Papà... - provai a parlare ma quello che avevo in bocca uscì dalle labbra e mi misi la mano davanti.
Mio padre si staccò dall'abbraccio e mi tolse la mano da davanti la bocca.
Mi lasciai prendere dal panico, la mia mano era sporca di sangue, sangue che era uscito dalla mia bocca.
Papà prese un fazzoletto e me lo mise sulla bocca, poi mi aiutò ad alzarmi.
- Andiamo all'ospedale! – disse sorreggendomi.
Annabeth
- Cosa? – chiesi a Jason
- Hai sentito. Zio è venuto a prenderlo e lo ha portato in ospedale, non mi ha voluto dire niente, ha detto che mi avrebbe chiamato per farci sapere che cosa dice il medico – spiegò lui
Mille pensieri mi riempivano la mente. Che cosa era successo? Percy stava davvero così male da aver bisogno di andare all'ospedale? E io che gli ero sempre stata vicino, come avevo fatto a non accorgermi di come stava realmente?
- è assurdo, hai saputo l'ultima – sentii dire ad una ragazza della mia classe che parlava con la compagna di banco.
- Ti stai riferendo a Percy Jackson? – chiese l'altra.
- Ehi voi due! Di che cavolo state parlando? – chiesi innervosita, non mi piaceva che le altre ragazze parlavano del mio fidanzato. Lui era mio e basta.
- Pare che Percy Jackson sia il figlio del proprietario della Posidonia – rispose una di quelle
- Il tuo fidanzatino non è così sincero, vero? – disse l'altra.
Una rabbia ceca partì dalla base del mio stomaco e se non fosse stato per Piper, che mi trattenne per le braccia, avrei cavato i capelli e quelle due smorfiose.
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E se il destino...
ФанфикAnnabeth Chase vive a San Francisco, ha degli amici fantastici, una bella famiglia e un quasi fidanzato, finché sua madre non decide di abbandonare lei e il padre. È così costretta a trasferirsi a New York con la nuova moglie di suo padre e i suoi...