Puro- Entity303

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Ero solo.
Di nuovo.
I miei genitori mi trattavano come fossi un servo, mio fratello mi trovava un mostro.
Ero fuggito, di nuovo. Mi ero rifiutato di fare quello che volevano loro, mi ero rifiutato di essere il loro sicario, di essere la feroce guardia del corpo del loro amato bambino, del loro prediletto.
Erik, il povero bambino che veniva maltratto a scuola solo perché era dilegente e studioso, un secchione. Che cliché.
E a me? Chi ci pensava? Nessuno.
Ero un ragazzo strano, solitario e spaventoso.
Ero solo, in quel momento.
Vagavo per le strade malfamate e sporche, la puzza di alcool invadeva i miei polmoni. Mi imbucai in un vicolo e salii sulla scala anti incendio di un palazzo, per arrivare sul tetto.
La vista era bella: luci sbiadite e piccole, sparse come stelle sotto il cielo nero senza luna. Quasi sembrava una minestra di petrolio, da quanto era scuro. I rumori della città arrivavano ovattati e lontani, quasi fosse tutta un illusione. Il vento era caldo, l'odore di gas di scarico arrivava fino a lì, tuttavia mi trovavo bene.
Ma in fondo, sapevo che in quei palazzi, in quelle case, in quelle strade, non c'era niente di bello. Pieno di gente superficiale, che pensa ai soldi, alla fama, alla popolarità, ad essere migliore degli altri.
Tutta quella gente che pensava solo a se stessa, che faceva drammi su piccole cose per essere al centro dell'attenzione, che si faceva altruista per guadagnare punti a favore di nessun'altro se non se stessi.
Certe volte mi immaginavo come un giustiziero in buona fede, che ripuliva il mondo dalle persone così. Dalle persone come loro.
Sentii il rumore di una porta che viene aperta, seguita da brusio e risatine.
Non mi voltai, preferivo fare finta di niente, ignorare chiunque fosse appena arrivato.
-ma tu guarda... - no... Maledizione.
Continuai a fissare il panorama, deciso a non voltarmi.
-che c'è, hai paura? Guardami quando ti parlo, sfigato.-
Strinsi i pugni.
Risatine. Stavano ridendo di me, senza alcun motivo valido.
Sentii che si avvicinavano.
Serrai la mascella.
Il tetto sgretolato scricchiolava sotto le loro scarpacce alla moda.
Fremetti per il nervosismo.
-allora? Il tuo fratellino è contento ora che è a casa tra le braccia della mammina?-
Altre risatine.
-Forse invece di fargli da guardia dovresti andare a tenergli compagnia-
Scoppiai in quel momento.
La mia mano scattò, seguita dal braccio e dal resto del corpo, e in meno di un secondo quell'idiota era a venti centimetri da terra, il colletto della giacca stropicciato tra le mie dita.
-Non osare paragonarmi a lui.-
Rise nervosamente. Si stava spaventando.
-Tu in particolare, non hai il diritto di giudicarmi. TU FAI PARTE DELLA SPAZZATURA DI QUESTO MONDO, MERITI DI MORIRE!-
Urlai. Tutto il rancore e il disgusto che il mio cuore racchiudeva verso questo mondo uscì fuori violentemente.
-Harry... andiamo- uno dei suoi stupidi amici tremava mentre diceva quelle parole. Non aveva nemmeno il coraggio di gurdarmi.
Il mio corpo non rispondeva più, sentivo una voce che mi diceva "fallo, liberati di lui, realizza la tua vendetta". Il mio braccio si muoveva da solo mentre spostavo il corpo di quel moccioso verso il parapetto, oltre quello, sospeso a venti metri sopra il marciapiede sporco.
Lo vidi sgranare gli occhi, mentre il suo respiro si faceva irregolare e i suoi compagni scappavano. Tsk... che schifo.
-t-ti prego... non farlo...-
-È troppo tardi per chiedere scusa, idiota.-
Vidi la scena al rallentatore. Le mie dita, fino a quel momento immobili, si aprirono di scatto, lo vidi cadere e dimenarsi ed urlare. Vidi mentre la sua testa sbatteva contro il marciapiede, vidi mentre il suo corpo si schiantava a terra, quasi riuscii a sentire il rumore delle sue ossa che si spezzavano. Per qualche motivo, tutto questo fu piacevole. Tremendamente piacevole.
Una strana risata uscì dal mio corpo. Una parte di me era terrorizzata, da quello che avevo fatto, da quello che mi stava succedendo. L'altra era impazzita, in un certo senso soddisfatta da quello che avevo fatto.
Un senso di panico cominciò a crescere nel mio petto. Cominciai a correre, scendendo giù per le scale e fuggendo verso la periferia della città.
Il mio cuore correva come un treno, lo sentivo rimbombare nella testa, il mondo mi sembrava quasi visto in terza persona, come se fossi ma allo stesso tempo non fossi io.
Le mie gambe si muovevano da sole, e nonostante sentissi dolore e la fatica cominciasse a presentarsi io non mi fermai.
I miei polpacci affaticati si tesero di colpo, quando mi fermai all'improvviso. Volevo correre, me qualcosa me lo impediva. Quel qualcosa... Ero io? Mi guardai intorno per quel poco che la scarsa luce e la mia posizione da statua mi permettevano. Il vetro scheggiato di uno specchietto di un auto riluceva proprio ai miei piedi. Una figura vi era specchiata: pelle scura come il catrame, occhi rossi famelici, un raccapricciante ghigno dorato. Quello... quello ero io? Mi resi conto solo allora dell'alone scuro che mi aleggiava intorno come una fitta nebbia.
-Ector...- Una voce roca e profonda rimbombò nella mia testa con un forte eco. Era graffiante, sembrava lacerarmi i timpani. Ne ero terrorizzato e attratto allo stesso tempo.
-Povero... Povero ragazzo... così solo e incompreso... -
-Dimmi chi sei. - Non so dove trovai il coraggio di parlare. Mi tremavano le gambe, mi sentivo uno scoiattolo impaurito.
-Sono l'unico che ti capisce, Ector. Fidati di me...-
Per qualche motivo sentivo di dovergli credere. Orribili immagini di persone che morivano soffocate, strozzate, infilzate da tentacoli viola scuro comparvero davanti ai miei occhi come realtà virtuale. Urlai, forse più appagato da quella vista che terrorizzato. Potevo sentire quella roba viola provenire da me.
-Non essere disgustato dal pandemonio delle tue emozioni. Non sei tu quello sbagliato, ma gli altri. Sono qui per aiutarti, Ector.-
-Come sai il mio nome?- Fu la prima cosa che mi venne in mente, non riuscivo ragionare bene.
-È da tanto che cercavo la persona giusta, e da altrettanto tempo ho messo gli occhi su di te.- Un vento gelido mi sfiorò le guance come una carezza, facendomi venire i brividi. -Insieme... possiamo fare tante cose. Io voglio sangue, tu vuoi ripulire questo mondo marcio. Pensaci bene... Potresti essere un eroe, Ector.-
Avrei voluto ribattere, dicendo che non era vero, che non ne sarei stato capace, ma non ne ero più tanto sicuro. Una parte di me - la parte malata - avrebbe colto l'occasione al volo. Guardai le mie mani. Erano ormai lunghi e neri artigli, trasformate come il resto di me. C'ero dentro fino al collo, come potevo rifiutare?
Sarei stato una sorta di entità benigna. Sarei stato il salvatore del mondo.
Alzai lo sguardo, fissando il buio davanti a me. Tutto era rosso come il sangue. La terra sotto di me cominciò a sfrigolare, e i piccoli tentacoli viola che lui, chiunque fosse, aveva chiamato "pandemonio di emozioni" cominciarono a sbucare. Tutto il mio odio, il mio disgusto, il mio ribrezzo verso quell'orrore in cui ero costretto a vivere stava finalmente uscendo fuori. Pronto per sterminare la causa di quello schifo. Sul mio volto comparve un ghigno malsano, mentre il mio battito accelerava incredibilmente.
-Il mondo deve essere purificato.-
















FINALMENTE HO AGGIORNATO LOL.

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