Cap. 21- What happened after

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Due secoli dopo...

Oramai, il mio cuore aveva accettato quanto accaduto appena due secoli prima. Avevo imparato a convivere con quella consapevolezza schiacciante e deleteria, che si era insediata prepotentemente in un angolo del mio cervello, pronta a risalire ogni qualvolta avesse voluto. Non potevo fare molto, lo sopportavo e mi limitavo a vivere, ignorando. Lentamente avevo anche imparato a riprendere il controllo di me stessa, una volta perduto, in seguito allo sconvolgimento causato dall'elfo che avevo amato... che amavo? Decidevo, di comune accordo con me stessa, di non riflettere su quella domanda, stipandola in un cassetto.

Mi ritenevo abbastanza soddisfatta del controllo che avevo riacquistato e della nuova sistemazione che avevo trovato, non lontano dalla dimora di Elrond, sull'antica via che la compagnia aveva percorso, ora distrutta dalle continue incursioni degli stessi invasori che avrebbero dovuto distruggere Bosco Atro. Da innumerevoli voci, avevo udito degli sconti avvenuti e della resistenza efficace del Reame di Thranduil: effettivamente, gli orchi giunsero solo pochi anni dopo il mio abbandono definitivo del palazzo che avevo abitato per più di cinquecento anni. Io avevo assistito da lontano alle battaglie, tenendomi informata quanto possibile sull'accaduto. Dieci anni dopo, correvano già notizie sulla speranza che animava gli abitanti nei pressi di Bosco Atro. Guerrieri da ogni parte della Terra di Mezzo avevano preso parte alla causa. Il matrimonio aveva assicurato un esercito composto dai più abili e temerari elfi mai visti. La vittoria era assicurata. Sapevo, quanto meno, che il mio dolore sarebbe stato utile alla salvezza di numerose vite.

Un pieno secolo di pace e prosperità susseguì.

Avevo raggiunto, come mi ero ripromessa, Legolas e con lui, in compagnia di Elurìn, avevo trascorso il mio tempo, in cerca del nostro piccolo angolo di pace. Ci eravamo messi a parte entrambi dei trascorsi, in modo da assicurarci una completa sincerità. La mia storia non turbò eccessivamente l'animo del principe, il quale si limitò ad ascoltare, annuendo, come se già sapesse. I suoi sentimenti, dopo tanto tempo, per me erano ancora oscuri: non osavo domandare, né supporre e nemmeno, probabilmente, avevo intenzione di immischiarmi in una battaglia interiore che qualcun altro stava combattendo per conto proprio. Non spettava a me di certo. Nonostante tutto, il rapporto che ci univa era sincero, senza segreti, tralasciando gli argomenti che, comunemente, ritenevamo indicibili. Il legame fra noi si rafforzò ben presto, divenne intimo, mi fece dubitare.

Elurìn rimase un buon amico. In seguito al suo esilio, perché, alla fine, con poca sorpresa da parte di entrambi, Thranduil lo cacciò, mi aveva seguito, senza abbandonarmi. Non aveva intenzione di lasciarmi e, per molto tempo, mi sentii in debito con lui, ma presto capii che si trattava di puro e semplice affetto. Imparammo a convivere semplicemente.

Io vivevo in una piccola villa con Legolas, nelle vicinanze Elurìn aveva stabilito la sua dimora. Prestavo servizio come guardia reale presso la residenza di Re Elrond, il quale mi accolse, al mio arrivo, come un'alleata. Più tardi come una consigliera e un' amica. Non era a conoscenza della mia storia, né ritenevo ci fosse la necessità di raccontare quanto accaduto. Non sarebbe cambiato nulla, tanto valeva tenerlo segreto.

Quella mattina, una come tutte le altre, stavo prestando servizio a palazzo. Indossavo una semplice tunica, sopra la quale portavo la leggere armatura che mi avevano assegnato come protezione. Al contrario, l'esercito intero era obbligato ad una uniforme più elaborata e massiccia, a mio parere troppo ingombrante, ma, avevo notato, non erano impediti nei movimenti. Rimpiangevo le mie vesti che mi avevano accompagnato nelle lunghe passeggiate nei boschi che ero solita fare. Utilizzavo ancora il mio arco, così i miei pugnali, anche se non riuscivo a riconoscerli come miei in quell'ambito totalmente estraneo. Quel villaggio pacifico non era casa mia: costantemente animato da musica soave e risate controllate, da una gioia velata, come se fosse stata istituita per legge. Ricordavo con rammarico il gradito silenzio dei corridoi del palazzo di Thranduil.

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