I segreti di villa Agreste p1

694 36 10
                                    

Quando il notiziario mostrò ancora una volta le immagini dell'arresto di Gabriel Agreste, Marinette si morse il labbro e posò la spazzola sul divanetto, ignorando l'acqua dei capelli umidi che continuava a gocciolarle sulle spalle. Aveva visto innumerevoli volte quella scena, ripresa da decine di telecamere ed angolazioni diverse; le spalle rigide di Chat Noir arrivato un istante dopo che Gabriel era stato caricato sulla volante, il suo sguardo teso mentre osservava da sopra il tetto di Villa Agreste.

Aveva ricordi di quel momento solo grazie a ciò che aveva visto in televisione. Alzò il volume, poiché sapeva già che sarebbero passati a parlare della scomparsa di Adrien Agreste.

«E non c'è ancora alcuna notizia, invece, sulle sorti dell'unico figlio di Gabriel Agreste scomparso dal momento dell'arresto.» disse Nadja alla telecamera.

Marinette spense il monitor del computer, incapace di sopportare ancora una volta quelle parole e di ripensare a quanto, anche come Ladybug, era stata inutile. Non era neanche riuscita a partecipare allo scontro finale con Papillon, ricordò, e per quanto avesse cercato dai tetti per tutta Parigi, non aveva ancora idea di dove fosse Adrien, se stesse bene e se fosse al sicuro. Ripensò anche all'ultima volta che aveva visto Chat Noir, sospeso in aria e circondato da oscurità, prima che ripiombasse a terra e che perdesse anche lui.

«Riproveremo domani.» le disse Tikki. Era rimasta appollaiata sulla scrivania, silenziosa in attesa che lei fosse pronta per dormire, ed ora la guardava mogia, come se soffrisse di riflesso per ogni suo dubbio e tormento, ma Marinette era certa che non avrebbe mai potuto immaginare cosa stava provando.

Si sforzò di sorridere. «Certo.» rispose.

Sapeva che anche lei era preoccupata, lo vedeva nei suoi occhi e lo capiva grazie ai biscotti che aveva abbandonato nel piattino, ma non disse nulla.

Anche Tikki rimase in silenzio, all'inizio Marinette pensò che stesse riflettendo o che le stesse lasciando spazio per sentirsi meglio, ma poi il piccolo Kwami le fece un cenno, indicandole di guardare dietro di sé.

Marinette lo fece, scrutò oltre la finestra e strizzò gli occhi per inquadrare la sagoma scura che si stagliava nell'oscurità. Le luci di Parigi in lontananza rendevano la sua ombra netta contro il cielo, la penombra celava il suo volto. Sapeva che solo una persona sarebbe potuta essere in piedi su un tetto a quell'ora.

«Resta qui.» disse a Tikki.

Si avvicinò alla finestra e si sporse verso il vetro, sperando di essersi sbagliata, ma non c'era alcun dubbio che lui stesse guardando proprio verso di lei, allora salì sul soppalco e si arrampicò fuori, rimettendosi in piedi sul balcone. Chat Noir le venne incontro, scavalcando la ringhiera in ferro battuto e balzando sul balcone.

Marinette avrebbe voluto potergli dire qualcosa, sgridarlo per averla fatta preoccupare, prenderlo a pugni per il suo silenzio e tutto il resto, ma si trattenne.

Poi lui parlò. «Milady.» disse.

E Marinette trattenne il fiato, ma fu solo per qualche secondo. Almeno adesso aveva la risposta ad una delle domande che si era fatta negli ultimi giorni, anche se avrebbe dovuto essere ovvio. Era stato lui a riportarla a casa, dopo che era accaduto.

«Dove sei stato? Ti rendi conto di quanto fossi in pensiero?» gli domandò. Fece un passo verso di lui e sollevò un pugno, ma si trattenne dal colpirlo davvero, lui non replicò. «Chat Noir? Stai bene?»

Chat Noir sorrise, ma non era quel sogghigno sghembo che tanto gli si addiceva, né quella smorfia volontariamente seducente che spesso le riservava. Quel sorriso era inquietante e Marinette si domandò da dove provenisse.

L'ombra del gatto - INCOMPIUTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora