I segreti di Villa Agreste p2

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Ladybug conosceva bene Chat Noir, il suo passo rapido sulle tegole dei tetti di Parigi, il suono della sua coda che sferzava l'aria, quello della sua risata che spezzava il silenzio della notte. Quello con cui non aveva familiarità, invece, era il timbro del suo ghigno divertito, quello che riecheggiava sotto il cielo nero mentre le dava la caccia tra camini ed antenne.

Ladybug scivolò di lato ed urtò contro un palo della luce, il bastone di Chat Noir colpì proprio il punto in cui era stata fino a poco prima. Si voltò, lanciò il suo yo-yo e afferrò un'estremità dall'arma di lui, Cercò di tirarlo verso di sé, ma il ragazzo era forte e non mollò la presa.

«Smettila, ti prego.» gli disse. Il filo che stringeva in mano tirava premeva dolorosamente contro la sua pelle.

Papillon era stato arrestato, non era possibile che ci fosse un'Akuma che fosse riuscito a sottometterlo ed a convincerlo a rivoltarsi contro di lei, ma allora cosa poteva essere successo?

Ogni volta che si era ritrovata a combatterlo mentre era sotto l'influsso di qualcuno, rifletté, Chat Noir aveva sempre mantenuto parte della sua personalità, ma in quel momento la guardava come se non la conoscesse, senza neanche l'ombra di quelle battutine idiote a cui negli anni si era abituata. E non le rispose.

Pensò che doveva prendere tempo per capire come risolvere la situazione, ma il filo dello yo-yo si allentò e Chat Noir corse verso di lei, la mano tesa per afferrarla. Eppure, prima che lui riuscisse ad avvolgere le mani attorno al suo polso, qualcun altro lo tirò indietro.

«Scusa, Chatikins, ma non posso lasciartelo fare.» disse l'altra ragazza.

Ad occhi strabuzzati, Ladybug ci mise alcuni secondi ad inquadrare la figura nella semioscurità, allora vide la nuova supereroina atterrare Chat Noir e trattenerlo con fin troppa facilità. Era come se, all'improvviso, il ragazzo si fosse arreso. Osservò la ragazza che lo teneva giù, il costume giallo e nero la faceva sembrare un'ape ed i suoi occhi azzurri scintillavano di orgoglio mentre le sorrideva.

«E tu chi sei?» le domandò Ladybug.

L'altra si alzò e Chat Noir fece lo stesso, scrollando il capo come per liberarsi di qualche pensiero indesiderato.

«Queen Bee al tuo servizio.» disse la ragazza. I suoi capelli biondi ondeggiarono lungo le spalle.

Le domande si affollarono nella testa di Ladybug, ma non sapeva in quale ordine fosse meglio esporle e allora esitò un momento di troppo.

«Non ti preoccupare, Ladybug.» disse Queen Bee. «Ho tutto sotto controllo. Porto il gattino al sicuro e torno a spiegarti. Ci vediamo tra un paio d'ore alla Torre Eiffel?»

Prima ancora che potesse rispondere, i due saltarono via e scomparvero alla sua vista, andando di tetto in tetto senza dire una sola parola.

Qualche ora prima:

La prima volta che Nadja cercò di afferrarla, Ladybug esitò, ritrovandosi stretta in un abbraccio indesiderato che la sbilanciò e la fece quasi finire per terra. Chat Noir, invece, evitò Manon agilmente e sguainò il bastone solo per trovarsi a tentennare a sua volta.

Colpire una persona normale era ben diverso dal colpire un'Akuma, Ladybug se ne rese conto nel momento stesso in cui sollevò lo yo-yo per attaccare; non poteva semplicemente usarlo per colpire Manon e Nadja, né intrappolarne una con il rischio che l'altra la attaccasse mentre era distratta. Le due non erano trasformate e non c'era un oggetto da distruggere e purificare, non sapeva cos'avrebbe dovuto fare per fermarle.

Si aggrappò alla ringhiera del piano superiore e diede uno strattone, Chat Noir la raggiunse sul corrimano subito dopo ed insieme tornarono a guardare Nadja e Manon. Le due ebbero solo un momento di esitazione, poi corsero verso le scale per salire dietro di loro.

«Se le chiudessimo qui dentro ed aspettassimo che si calmino?» domandò Chat Noir.

Marinette fu quasi tentata di approvare; forse un ospedale avrebbe saputo cosa fare, forse era un virus contagioso oppure una sorta di ipnosi, ma senza un parere di Maestro Fu non avrebbe potuto saperlo. Quando le due li ebbero quasi raggiunti, Ladybug e Chat Noir tornarono ancora al piano inferiore con un salto.

Di colpo, l'idea di uscire chiudendosi la porta alle spalle non fu più tanto folle, Ladybug fece una smorfia e si costrinse ad accettarlo; sarebbero potuti andare via in quel momento senza problemi e Manon e Nadja non avrebbero potuto impedirlo. Erano rimaste nel corridoio superiore, avevano raggiunto il culmine della scalinata, ma non erano andate oltre e continuavano a fissarli come se non fossero intenzionate a provare ancora a prenderli.

Ladybug si chiese cosa, in quella casa, avrebbe potuto usare contro di loro senza ferirle, se avrebbe potuto attirarle dentro una delle camere da letto e legarle, ma la sola idea di una di loro costretta nel letto di Adrien la ripugnava. Non fece in tempo a pensare al ragazzo, a domandarsi dove fosse e se stesse bene che Nadja e Manon iniziarono a tremare e sollevarono gli occhi al soffitto.

Le braccia si agitavano molli contro i loro fianchi, le dita erano contratte per chissà quale sforzo e le labbra dischiuse in un urlo senza volume.

Aveva già visto una cosa simile in qualche film dell'orrore, ma scacciò via quel pensiero. Qualcosa di oscuro scivolò sugli scalini davanti alle due, si allungò come se fosse liquido e si dissolse contro le mattonelle candide del pavimento. Nadja e Manon caddero subito dopo come bambole senza vita; era come se fino ad allora fossero state tenute in piedi da fili invisibili ed ora essi fossero stati tagliati.

Senza scambiarsi una parola, Ladybug e Chat Noir scattarono in avanti e tesero le braccia per afferrarle prima che sbattessero la testa; con la forza data dai costumi non fu un problema sorreggerle e nemmeno trasportarle fuori; lo fecero lentamente, per paura di ferirle e che potessero risvegliarsi e minacciarli ancora. Le trascinarono verso l'ingresso, quando furono oltre la porta Ladybug si sentì quasi al sicuro; lasciò Manon per terra e sollevò il viso per guardare Chat Noir.

«Dobbiamo parlare.» le disse il ragazzo. Il suo sguardo era velato, la mascella tesa.

«Di quello che è successo con Papillon, spero.» rispose lei. Si alzarono in piedi e rimasero uno di fronte all'altro, le braccia piegate ed i pugni premuti contro i fianchi.

Chat Noir le sorrise. «Esattamente di quello, mia signora.»

Ladybug sospirò. Era felice che l'avesse detto lui, perché altrimenti sarebbe stata costretta ad afferralo per le orecchie e costringerlo a fermarsi anche contro la sua volontà. Aveva una lunga lista di domande da fargli e non l'avrebbe lasciato andare finché non avesse avuto una risposta ad ognuna di esse.

Dischiuse le labbra per iniziare, ma lui la interruppe con un cenno. «Non qui.» le disse.

Mosse il capo verso il cancello, dove un cospicuo gruppo di persone si era raggruppato per assistere, Nadja e Manon, ai loro piedi, sembravano sul punto di riprendersi.

Ladybug si chinò verso di loro per controllare come stessero, per assicurarsi che nei loro occhi non vi fosse più quel vuoto che aveva visto prima, che l'oscurità si fosse davvero dissipata. Chat Noir, fermo davanti a lei, la lasciò fare.

Sembrava non avere lo stesso interesse per le due, il suo sguardo si perdeva lungo le pareti esterne della villa e lo sguardo gli si offuscò per chissà quale pensiero. Forse, pensò Ladybug, stava ricordando lo scontro con Papillon e ciò che aveva provato in quel momento, ma non avrebbe potuto saperlo finché lui non glielo avesse detto.

Ma, anche quando tornò a guardarla, Chat Noir rimase in silenzio. Il suo sorriso era spento, distratto, quasi una smorfia tirata. Ladybug avrebbe voluto tenergli la mano e fargli sapere che andava tutto bene, che avrebbero parlato e risolto insieme qualunque cosa. Prima che potesse farlo, però, qualcosa che lei non riuscì a vedere trascinò Chat Noir dentro casa ancora una volta e la grande porta si richiuse tra loro.

L'ombra del gatto - INCOMPIUTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora