15 - Il giorno in cui Papillon fu sconfitto (1)

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Ogni parola degli agenti rimbombò contro il suo cranio ripetutamente, cercò di ignorarle, nonostante quasi tutte le domande fossero dirette a lei. Tra una pulsazione e l'altra, mentre un giovane premeva una garza sulla ferita di Carapace, realizzò che le stavano chiedendo se volesse andare in ospedale.

Scosse il capo, era certa che per tornare in sé le sarebbe bastato un po' di riposo, ma non poteva dire lo stesso per Carapace.

«Pensate a lui.» suggerì, indicando l'amico con un cenno.

«È solo un graffio.» ribatté il ragazzo. La garza era ormai intrisa di sangue, ma dalla sua espressione poteva vedere benissimo che stava trattenendo il dolore.

«Dovresti farti controllare da un medico.» lo rimbeccò Rena Rouge, ma lui scosse il capo.

«Non c'è tempo, dobbiamo parlare con Gabriel Agreste.» le rispose lui.

Ladybug era totalmente d'accordo, nonostante anche lei fosse preoccupata per il ragazzo. Prese tra le mani la borsa con il ghiaccio che una donna in divisa le porgeva e le lasciò quella già usata, poi la premette contro la nuca con uno sbuffo.

«Per quello c'è tempo.» disse loro il commissario.

Era un uomo robusto, alto, standogli accanto Ladybug si sentiva quasi oppressa. Abituata com'era ad avere l'idea geniale ed entrare in azione subito dopo, la consapevolezza di dover rendere conto a tutte quelle persone la spiazzava.

Alla fine riuscì a convincerli di stare bene, un'ambulanza li raggiunse e medicò Carapace sul posto e, neanche mezz'ora dopo, Gabriel Agreste entrò nella stanza accompagnato dal commissario e fu ancora una volta ammanettato al tavolo.

Una volta sedutosi, l'uomo li scrutò con attenzione uno alla volta e, solo dopo aver regalato a Ladybug uno sguardo di sufficienza, le disse: «Immagino che non abbia ancora trovato mio figlio.»

Accanto a lei, Rena Rouge ebbe un fremito, ma Ladybug non si lasciò distrarre. Lo sguardo dell'uomo la inchiodava sul posto, quasi pareva che mirasse a farla sentire in colpa per questo, come se la fuga di Adrien fosse stata colpa sua. Scacciò questo pensiero, ricordandosi che era stato lo stesso Gabriel Agreste a dare il via alla lunga serie di eventi che li aveva portati fino a quel punto.

Invece che cogliere la provocazione, Ladybug si sporse verso di lui. Accantonò la preoccupazione per l'amico spingendola in un angolo e, con uno sbuffo, ribatté di rimando: «Inizio a pensare che sia andato il più lontano possibile da lei, non lo biasimo. O forse è solo rimasto bloccato in casa, preda di quelle cose che pullulano lì. A proposito, cosa c'è in quella casa? Come ci è arrivata?» domandò.

Il signor Agreste impallidì e s'irrigidì sulla sedia, anche Carapace e Rena Rouge lo fissavano, ma loro rimasero in silenzio.

Ci vollero alcuni minuti perché l'uomo si ricomponesse, perché si decidesse a parlare. Ladybug lo vide lanciare un'occhiata agli amici, il naso arricciato e le sopracciglia corrugate, il volto sollevato come per innalzarsi rispetto a loro.

«Sono fantasmi.» rispose alla fine.

«Fantasmi?» gli domandò. Incrociò le braccia, inclinò il capo, tentò di fargli capire con un'occhiataccia che era il momento di parlare, che lei e gli altri aspettavano solo che lo facesse.

Invece lui domandò: «Davvero Chat Noir non ve lo ha detto?»

Quasi sorrise, nel chiederlo, ma tornò subito serio e si spinse gli occhiali su per il naso.

«Non ho parlato con Chat Noir!» sbottò Ladybug. Strinse i pugni, le sue stesse parole le rimbombarono in testa. «Quelle tue ombre... Quei tuoi fantasmi lo hanno preso, non so cosa gli abbiano fatto, ma da allora lui è sparito.»

L'ombra del gatto - INCOMPIUTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora