I segreti di Villa Agreste p3

256 27 2
                                    

Grazie al costume giallo, Ladybug individuò Queen Bee quando era ancora a diverse decine di metri di distanza. Incrociò le braccia e la aspettò immobile, i piedi ben piantati sulla trave della torre e la mascella tesa.
Queen Bee atterrò proprio di fronte a lei, sorrise e spinse con una mano i capelli dietro la spalla. La sua coda di cavallo oscillò un paio di volte per conto proprio e poi iniziò a seguire la direzione del vento.
«Tutto a posto, Ladybug. Chat Noir è al sicuro.» disse.
Ladybug non era certa di potersi fidare di letto e Delle sue parole, ma dalla sua disavventura con Volpina aveva imparato ad essere prudente, nell’accusare le persone.
«È molto gentile da parte tua farmelo sapere.» sospirò, cercando le parole giuste. «Spero che non ti dispiaccia se ti chiedo chi ti abbia dato i poteri ed in che modo.»
Queen Bee sorrise, se possibile, ancora più ampiamente.
«È stato Chat Noir a darmi il Miraculous» spiegò. «Aveva bisogno di aiuto – come hai potuto vedere al momento non è al suo massimo – e io, modestamente, sono la sua più cara e vecchia amica fuori dal costume. La scelta era ovvia, non trovi?»
Ladybug sollevò un sopracciglio, parte di lei faticava a immaginare i due insieme; certo, c’era una buona dose di megalomania in entrambi, ma probabilmente quella ostentata da Chat Noir era più che altro una facciata. Queen Bee, invece, sembrava crederci davvero.
«Capisco.» le disse. «Come mai Chat Noir non ne ha prima parlato con me, però?»
Avrebbe voluto che fosse semplicemente una domanda per soddisfare una curiosità, ma la preoccupazione per il suo compagno era come una morsa che non la lasciava andare.
Queen Bee si fece seria. «Questa è la ragione per cui è venuto da me.» rivelò. «Qualcosa lo spinge ad essere aggressivo nei tuoi confronti, mi ha chiesto di impedirgli di farti del male.»
Mentre le parole facevano presa nel suo cervello, Ladybug osservò bene la ragazza. Ogni cenno di soddisfazione per essere diventata una supereroina era sparito, lasciando solo la preoccupazione nei suoi occhi. Forse poteva fidarsi.
«Come posso aiutarlo?» le domandò Ladybug.
Queen Bee scrollò le spalle. «Per quanto ne so è iniziato tutto a Villa Agreste, Chat Noir ha detto che probabilmente è la stessa cosa che aveva corrotto la signora Chamack e sua figlia.»
Ladybug si sforzò di ricordare, tutto era andato in discesa dopo che le due erano state abbandonate dalla qualunque cosa le avesse possedute, la risposta probabilmente era lì.
Forse Queen Bee era riuscita a intuire cosa stesse pensando, perché sollevò le mani e disse subito. «Lui ha chiesto di dirti di fare attenzione, di non tornare lì.»
Storse il naso, sapeva che Chat Noir si stava solo preoccupando per lei, ma se non l’avesse fatto non avrebbe saputo come aiutarlo, né cosa stava succedendo a casa di Gabriel Agreste. Se il suo intuito non la stava tradendo, doveva avere a che fare con ciò che era successo con Papillon. La scomparsa di Adrien, Chat Noir uscito di senno, ciò che era accaduto a Maestro Fu; doveva essere tutto collegato, ma a lei mancavano le informazioni per riunire i pezzi del puzzle.
«Non posso assicurarglielo.» concluse. «Ma digli che starò attenta.»
Lanciò il suo yo-yo in aria e abbandonò Queen Bee sulla torre; aveva bisogno di parlare con Tikki per decidere cosa fare.

Alcune ore prima:
Ladybug aveva sentito la forza misteriosa che la sfiorava e il rantolo di sorpresa di Chat Noir quando era stato tirato indietro; aveva esitato, poiché non aveva capito cosa fosse successo finché la porta di Villa Agreste non si era richiusa da sola davanti a lei. Solo allora si era riscossa ed era raggelata al pensiero di cosa sarebbe potuto essere.
Afferrò la maniglia e la tirò più forte che poteva, ma quella rimase ben piantata dov’era, pesante come un macigno ed immobile.
«Chat Noir!» gridò.
Batté i pugni contro la porta, tirò ancora, abbassò la maniglia di nuovo e continuo a provare finché non fu certa che non si sarebbe mossa. Strinse in mano lo yo-yo e, ignorando gli sguardi confusi e curiosi dei parigini attorno a lei, lo srotolò ed usò il tetto come appiglio per raggiungere la finestra più vicina.
Si aggrappò alle inferriate e si tenne in equilibrio per guardare cosa stesse succedendo, vide Chat Noir sospeso a mezz’aria, un vortice di ombre gli ruotava attorno, rendendolo quasi invisibile a causa del nero pece della tuta, ma Ladybug era certa che avrebbe riconosciuto quella zazzera bionda ovunque.
«Chat Noir!» gridò ancora, ma lui rimase immobile, il volto sollevato verso il soffitto e gli occhi spalancati.
Lo chiamò ancora, sperando che la sua voce riuscisse a risvegliarlo. La finestra tremava sotto la sua presa, ma non era a causa della sua stretta, l’aria vibrava gelida, il suo fiato appannò la finestra e le sue dita lasciarono la loro impronta sul vetro.
«Chat Noir!»
Le ombre vorticavano, scivolavano attorno al ragazzo svolazzando e tremando, oscurando tutto ciò che c’era nella stanza. Poi si fermarono, si dissolsero e, all’improvviso, Chat Noir cadde a terra.
Tutto si fermò, Ladybug trattenne il fiato per la paura che lui fosse morto, aspettò che si rialzasse, ma non accadde.
Quando si riscosse, Ladybug provò a dare un’altra spinta alla finestra e, inaspettatamente, quella si aprì. Entrò in casa e corse verso Chat Noir, si chinò su di lui e gli sfiorò il capo, poi si piegò e premette l’orecchio contro il suo petto per assicurarsi che il suo cuore battesse ancora e, una volta che si fu assicurata che fosse così, iniziò a scrollarlo per le spalle.
«Apri gli occhi, Gattino.» supplicò.
Lui lo fece dopo pochi secondi e ancora adesso sul pavimento freddo, le sorrise. «Mi sembra di essere appena uscito da un frullatore.» rivelò.
Ladybug sbuffò e si tirò su, dopo lo spavento che si era presa non aveva nessuna voglia di ascoltarlo fare battutine idiote, né di flirtare o fare qualunque altra cosa che non fosse sentirlo dire che stava bene e che non era successo nulla.
Lo aiutò ad alzarsi e rimase ferma a sorreggerlo finché non fu in grado di restare in equilibrio da solo, solo allora gli permise di allontanarsi. Chat Noir scrollò il capo e barcollò un istante, poi sbatté le palpebre e le sorrise.
«Mi hai fatto preoccupare.» confessò.
L’immagine di lui sospeso tra le ombre non la abbandonava, aveva il dubbio che non l’avrebbe fatto per un bel po’ di tempo, ma avrebbe avuto modo di rimuginarci sopra una volta che fosse arrivata a casa. A impedirle di continuare a pensarci, fu la mano di Chat Noir che la spinse via all’improvviso. Tornò a guardarlo e scoprì che aveva il capo chino e le dita immerse tra i capelli, li tirava e stringeva come se provasse un dolore alla testa tanto forte da impedirgli di stare fermo. Provò ad avvicinarsi di nuovo, ma lui glielo impedì, perché arretrò e tese la mano tra loro per mantenere le distanze.
«Perdonami, Mia Signora» disse Chat Noir. «ma temo di dover andare, adesso.»
Le girò attorno e, prima che Ladybug potesse rendersene conto, aveva usato il bastone per spingersi fuori dalla finestra.
Ladybug rimase a fissare il frammento di cielo per alcuni secondi, prima di rendersi conto che lui non sarebbe tornato indietro.




L'ombra del gatto - INCOMPIUTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora