Capitolo 16

505 62 25
                                    

Taehyung era sempre stata una persona che non riusciva a provare empatia, una persona che rimaneva impassibile davanti le lacrime.
Il suo cuore, freddo e insensibile, era sempre stato avvolto da una corazza di ferro; non era capace di mettersi nei panni degli altri, di provare a comprenderli. Niente di tutto questo.
Non era in grado di identificare e riconoscere le proprie emozioni per poi individuarle nelle altre persone.
Non aveva mai lavorato su se stesso. Pensava di conoscersi, ma non era così. E se non conosceva ciò che aveva dentro, come poteva comprendere gli altri?

Ma quel giorno, quella mattina, Taehyung sentì chiaramente sulla sua pelle la tristezza che gli trasmise Jungkook, si lasciò trascinare dalla disperazione del suo pianto, dei suoi singhiozzi, delle sue urla.

Si era ritrovato in ginocchio davanti a lui, con le mani avvolte intorno ai suoi avambracci nel vano tentativo di fermare l'emorragia.
Si era ritrovato a sussurrare parole di conforto al suo orecchio, quando tutto ciò che gridava Jungkook era di voler esser lasciato solo.
Si era ritrovato ad asciugare le lacrime, le mani macchiate di sangue, mentre il corpo di Jungkook, una volta forte e possente, tremava senza sosta, scosso dai singulti.

Taehyung lo odiava, sin dal primo momento che aveva messo piede in prigione, questo era chiaro anche ai muri, perciò non seppe esattamente per quale motivo si era ritrovato ad urlare chiedendo aiuto agli agenti.

Non poteva alzarsi e correre lui stesso a cercare qualcuno, perché era sicuro che Jungkook non sarebbe stato fermo. Non voleva rischiare di tornare e trovarlo a terra privo di vita circondato da una pozza di sangue. Non voleva farsi divorare lentamente dai sensi di colpa mentre era costretto ad abbassare le palpebre livide per coprire quegli occhi una volta furbi e scrutatori, ora vitrei e spenti.

Non ci riusciva, infondo Jungkook aveva solo ventun anni ed era sicuro che la vita con lui non era stata generosa, perché per inciampare, scivolare e cadere nel baratro di una patologia autodistruttiva, doveva aver sofferto ed essersi rifugiato lontano dalla realtà. Doveva aver costretto la sua mente ad alienarsi dal dolore atroce subito sin dalla tenera età.

Perché se Taehyung non provava empatia, lui le persone le sapeva studiare. Sapeva giungere ad una conclusione più in fretta di quanto si potesse immaginare, sul tipo di personalità di colui che aveva davanti.
Non lo avrebbe mai ammesso inizialmente, ma per la prima volta si sentì trascinato in quel vortice di emozioni che stavano uccidendo lentamente la psiche del più piccolo. E gli dispiacque. Davvero tanto.

Tutto ciò in cui sperava in quel momento era che tornasse Yoongi, insieme lo avrebbero fatto calmare, e uno dei due sarebbe potuto andare a chiamare i medici, forse proprio Seokjin e Namjoon ora che si occupavano dalla piccola infermeria.

Taehyung non sapeva più cosa dire per farlo smettere di piangere, le aveva provate tutte. Era addirittura andato contro il suo orgoglio pur di veder smettere l'altro di contorcersi dai singhiozzi.

Gridava, urlava e si dimenava dalla sua presa stretta, mentre i tagli si allargavano e più sangue veniva assorbito dai loro abiti.

Tutto ciò era straziante, sembrava non aver fine. Sembrava che il tempo si fosse fermato, e che ci fossero solo loro due. Il tempo scorreva velocemente tra di loro, ma intorno la quiete alleggiava indisturbata. Era come se nessuno si fosse accorto di loro.

Con le mani tremanti Jungkook si coprì il viso per nascondere agli occhi del più grande, l'angoscia e lo strazio che provava.

Faceva così male, non pensava più a nulla, voleva solo che tutto finisse. Finisse il dolore nella sua testa, il dolore fisico di avere le braccia aperte di due, e con essi anche lui stesso. Voleva finire. Scomparire.

Imprisoned | k.th & p.jmDove le storie prendono vita. Scoprilo ora