Capitolo 23

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Taehyung, dopo essersi dato una rapida rinfrescata e una leggera sistemata in bagno, era tornato nella sala comune riappropriandosi del suo libro. Si guardò intorno assente un paio di volte e si sedette poi soprappensiero ad un tavolo - per sua fortuna - vuoto. La luce artificiale del neon si mischiava fastidiosamente a quella naturale del sole, trapelante dalle cortine in ferro battuto, facendogli sorgere un improvviso cerchio alla testa.

Sospirò massaggiandosi con due dita la tempia sinistra. Socchiuse per qualche secondo gli occhi aggrappandosi a quel sollievo momentaneo.

Si infilò poi gli occhiali e con una mano scostò le lunghe ciocche castane dalla fronte.
Tornò a sfogliare svogliato qualche pagina ingiallita e consumata dal tempo; cercava il punto dove i suoi occhi avevano arrestato il loro cammino precedentemente. Si maledì per non aver tenuto il segno.

Girava le pagine e lasciava che il suo sguardo scorresse sui kanji giapponesi con semplicità, come l'acqua che sgorga dalla sorgente fluisce giù lungo il pendio.

La radio ora trasmetteva qualche singolo natalizio coreano. Era allegro e nostalgico, quasi distraeva la mente cupa dei detenuti.

«Ah, cazzo.» imprecò a bassa voce Taehyung sussultando sul posto. Il familiare bruciore e pizzicorio sul polpastrello del medio della mano destra si diramò fastidiosamente in tutto il corpo facendolo storcere il naso. Come faceva una ferita così piccola a fare cosi maledettamente male? Taehyung non capiva, e più non comprendeva come poteva esser possibile e più si innervosiva.

Certo, sapeva che i polpastrelli sono ricchi di terminazioni nervose, ma il dolore era proprio lancinante. Sollevò gli occhiali sopra il capo e avvicinò il dito sanguinante alle labbra. Osservò paziente come la piccola lacrima rossa scarlatta avanzava lentamente giù lungo la falange affusolata. Il bruciore si mischiò al lieve prurito che quella discesa affaticata gli procurava.

Sospirò per l'ennesima volta e schiuse le labbra, che il freddo aveva meticolosamente screpolato, per poi avvolgerle con una lieve smorfia intorno al dito. Immediatamente la goccia di sangue si infranse e sciolse contro la sua lingua, penetrando i suoi sensi assopiti dal piacere antecedente.

Era un fastidio subdolo, insidioso, perché le piccole increspature ai bordi della carta erano state capaci di causare il cosiddetto "effetto seghetto".

Che palle, pensò. Quanto ci metterà Jimin, si chiese aspettando paziente che il bruciore lo abbandonasse. Non solo il sangue non coagulava, ma sentiva la ferita aperta inviare costantemente al cervello quei maledetti segnali dolorosi.

Aveva bisogno di un cerotto ma non aveva voglia di alzarsi. Che fare quindi? Allontanò il dito ferito dalla bocca e vi soffiò piano sopra. Lo faceva sempre la nonna quando era bambino.
Finalmente trovò un po' di sollievo, e con il medio sollevato - quali volesse mandare a fanculo il mondo intero - si riabbassò gli occhiali, facendo attenzione questa volta a voltare pagina.

La voce giovane e femminile accompagnata da un coro altrettanto fanciullesco, alleggerivano l'aria stantia e tossica tutt'intorno. Un'aria figurativamente satura di criminalità, la si poteva quasi sfiorare per quanto densa fosse.

Gran parte delle persone sedute ai tavoli avevano il volto oscurato dai loro peccati e le mani, artefici di tali perversioni, stringevano consapevoli carte o pedine da gioco.
Lo si leggeva nei volti duri, nella loro postura ricurva, nelle arterie dei loro occhi colpevoli, che non era brava gente.

In quell'edificio si trovava rinchiusa e incatenata la cosiddetta feccia umana, non è forse così? Uomini che avevano ucciso altri uomini. Uomini che avevano derubato i loro simili e commesso una quantità indescrivibile di crimini, venivano ora chiusi a chiave e lasciati marcire su quel pavimento irregolare e sudicio, in attesa di qualcosa. Chi della propria condanna, del processo, chi del termine della pena, chi di morire.

Imprisoned | k.th & p.jmDove le storie prendono vita. Scoprilo ora