Capitolo 20

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I passi risuonavano nitidi contro il pavimento, così come nella sua testa. Nitidi e rafforzati da un eco che si produceva nel vuoto del corridoio quasi a compensazione di tanta quiete.

Era mattina presto, il sole stava sorgendo e i detenuti erano impegnati a riempiersi lo stomaco con qualche pietanza scadente o avanzo del giorno prima.
Non vi era anima viva in giro, se non lui e la guardia che lo scortava con un cipiglio sul volto.

"Porta la colazione a Jungkook al posto mio", aveva detto prima di dar le spalle a Taehyung, lasciandolo con il tipico sguardo confuso di chi si aspettava delle spiegazioni. Aveva sentito i suoi occhi bruciare, ardere e penetrargli la schiena man mano che si allontanava.

Sapeva che avrebbe chiesto, che avrebbe domandato. Ma Yoongi non sapeva, non sapeva cosa rispondergli. Nessuno faceva parola sulla sua vita fuori da quelle tristi mura. Erano come intimoriti dal poter portare alla luce i fatti che lo avevano condotto a spendere il resto dei suoi giorni dietro quelle sbarre di ferro.
Non tutti sapevano chi era, dato che a Yoongi non era mai piaciuto lavorare mostrando il suo volto al pubblico. Molto spesso lo conoscevano solo per il nome. Min Yoongi.

E così sarebbe dovuto rimanere se solo Min Soo non si fosse presentata quella mattina.

Scesero le scale che portavano alle stanze private in cui i parenti usavano incontrare i prigionieri. Sentiva freddo.
Era questa l'unica sensazione, anzi l'unico sentimento, pensò, in grado di tenergli il pensiero occupato.
Un enorme freddo dentro la pancia, come un blocco di ghiaccio che premeva contro le pareti del suo stomaco, tanto che dovette cingersi il grembo mentre i passi lo portavano avanti e il cuore lo portava indietro. Stava per riaffacciarsi sul suo passato.
E non era pronto.

«Avete mezz'ora.» bofonchiò assonnata la guardia, sfilandogli le manette e aprendo la porta, spingendolo all'interno - poco delicatamente - per poi richiuderla e poggiarvisi contro con le spalle con l'intenzione di riposare le palpebre il tempo necessario.

Yoongi strinse le dita tra loro, fin troppo nervosamente tanto che le nocche assunsero il tipico colore bianco di chi sarebbe voluto scomparire da un momento all'altro.

Ma Yoongi non era un codardo fino a quel punto. Si fece coraggio, rilassò per un momento le spalle e alzò lo sguardo cupo.

E il freddo si dilatò e gli invase gli arti: le mani no. Quelle le sentiva bruciare. Le spalle, gli avambracci, le gambe e i piedi non li sentiva più, nonostante muovesse spasmodicamente le dita dentro le scarpe. Sentì dei brividi e gli fu impossibili celarli. Le orecchie fischiavano fastidiosamente, con prepotenza, attutendo i rumori circostanti.

Per non battere i denti tenne la mascella serrata, tanto da sentire un indolenzimento nei muscoli del volto e del collo.

Non cedere, si ripeteva.

Ma lei era lì. Lei. Min Soo. La sua bellissima moglie. La madre di suo figlio. La persona che per anni era stata il centro della sua vita.

Quanto tempo era passato dall'ultima volta che sì erano visti? Due, tre, quattro anni forse?

«Y-Yoongi...» fu proprio la sua voce a riportarlo con la mente alla realtà. In quella stanza, coi suoi rumori, le sue luci e i suoi odori.
Dolce e melodica, come ricordava.

Era così bella Min Soo. I corti capelli neri come l'ebano, una volta lunghi e setosi, le incorniciavano il volto dalla pelle chiara e delicata come la porcellana cinese.

Quest'ultimo sentì il cuore battere così forte contro la gabbia toracica da non riuscire a calmarsi, era sicuro di star per impazzire. A questo punto non sapeva più se tremava per il freddo o per l'agitazione.

Imprisoned | k.th & p.jmDove le storie prendono vita. Scoprilo ora